Agricoltura organica: uno stile di vita

“Con agua y mierda no hay cosecha que se pierda”

Con questo motto Jairo Restrepo iniziava qualche anno fa il suo workshop di 5 giorni, a cui ho avuto il piacere di partecipare, a Locorotondo presso il CRSFA – Centro di Ricerca, Sperimentazione e Formazione in agricoltura.

Il seminario fu organizzato da Deafal ONG, che da anni si occupa di agricoltura organica e rigenerativa e di agricoltura familiare in Italia e in molti paesi del Sud del Mondo.

In quella occasione mi si aprì un mondo, un mondo che volevo approfondire e con cui mi volevo mettere in gioco. Un mondo fatto di semplicità e di libertà, di rispetto per la madre terra, di passione e sperimentazione costante. A questo meraviglioso corso seguì un altro sulla Permacultura e da allora decisi di iniziare ad applicare nelle mie esperienze di agricoltura sociale queste tecniche.

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Con i bambini abbiamo preparato fertilizzanti organici e preparato macerati vegetali per il controllo di molte malattie. Mai avrei pensato che tutto questo mi portasse dall’altro lato del mondo a ricordare ai campesinos di 13 comunità rurali queste tecniche, tecniche che sono nate in questa terra, frutto di un attento studio dei popoli preispanici e che la globalizzazione e l’agricoltura moderna hanno distrutto in nome della tecnologia e della produzione chimica.

Ora, per carità, nessuna demonizzazione nei confronti di questi modi di fare agricoltura: bisogna riconoscere che se abbiamo cibo in abbondanza è frutto di anni di ricerca negli ambienti universitari e di un tipo di agricoltura intensiva.

Siamo però sicuri che è la strada giusta? Siamo sicuri che non stiamo peggiorando la situazione? Siamo certi che il nostro modo di fare agricoltura, a forti input energetici, basato sul monocultivo e sulla meccanizzazione agricola, sull’idea di uso di OGM, sia la soluzione alla fame nel mondo? Questo modo di fare agricoltura può garantire la sicurezza alimentare? Metto in chiaro: non ho nessuna risposta né tanto meno ho la presunzione di darle. Quello che voglio raccontare è la mia esperienza qui, in Bolivia, con gente che di agricoltura vive, che lotta, ogni giorno, per migliorare la sua condizione, che vende i pochi prodotti che riesce a produrre in piccoli mercati nella città.

Modi di vivere differenti; stili di vita opposti; approcci alla vita e alla terra che non sono lontanamente paragonabili ai nostri europei.

Solo che con l’arrivo dei concimi chimici e dei tanti prodotti per la difesa delle piante la gente ha iniziato a disboscare non ritenendo più importante la presenza di ecosistemi complessi e, con il sogno di massimizzare la produzione, ha iniziato ad essere dipendente dalle farmacie agricole e dalle ditte sementiere per ottenere così una produzione, si più abbondante, a parità di ore di lavoro, ma più costosa in termini economici.IMG_5301

E ora, qui, il cambio climatico, si sente. Uno dei più grandi laghi al mondo, il Popo, si è prosciugato. Centinaia di famiglie dalle comunità, dove si viveva di pesca, si sono trasferite nelle periferie delle grandi città, vivendo in condizioni di estrema povertà. Ora, in piena stagione delle piogge, i fiumi sono secchi; l’amaranto cresce con difficoltà e la quinoa è alta 50 cm contro 1.60 m. Non arriverà a maturazione nel distretto dello Yunchara. Una signora di 70 anni nel campo però mi dice quella che secondo lei è la verità. E me lo dice con il cuore in lacrime. Me lo dice in Sella Quebrada, dove in agosto, pieno inverno a queste latitudini, hanno acqua potabile per mezz’ora al giorno. Mi racconta che fino a 50 anni fa, con piccoli secchi, nello stesso periodo, portava acqua dal fiume a casa. “Da qui la gente se ne va, i giovani preferiscono fare i poveri in città e comprare cibo piuttosto che coltivarlo con fatica e sacrificio”. Quando le chiedo perché è cambiato tutto, lei non dà la colpa alla globalizzazione, alle industrie o ai vicini. Mi dice, quasi scusandosi, con gli occhi di chi vuole provare a cambiare le cose ma che sa che sarà difficile: “Don Matteo, vede questa parcella? Non c’è più un albero, non c’è ombra, la terra è scoperta, piange acqua e Dio dal cielo se la prende. Come possono crescere le piante con questo calore? E se gli abbiamo tolto tutti gli alberi come facciamo a concimare il terreno? Non c’è neanche una foglia su questo terreno.” La gente, vedendo la possibilità di fare soldi, ha tagliato e bruciato, proprio come si faceva da noi, per creare pascoli o nuovi terreni. La signora non sa né leggere e né scrivere. Ha capito che il problema per cui suo figlio è andato in città a fare il “povero” (così mi ha detto) è il modo moderno di fare agricoltura. E quindi, da brava campesina quale è, ha iniziato a piantare alberi da frutto in consociazione con alberi forestali di questa terra e con mais, amaranto e pasto falaris, necessario per combattere l’erosione del suolo come barriera viva.

“La mia speranza è che mio nipote ritorni a vivere queste terre. Pianto per lui.”

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Beviamo un bicchiere di chicha (bibita fermentata di mais) e mi accompagna. Con un piccolo progetto abbiamo trovato finanziamenti per aiutare qualche campesino a riforestare piccoli appezzamenti di terra, con la speranza che qualche albero possa aiutare, nel lungo periodo, a restituire fertilità e vita ad una terra sempre più arida.

Le aziende sementiere, qui in Sud America, comprano pannelli pubblicitari per esporre i loro prodotti in gigantografie; vanno in campo offrendo soluzioni “rapide ed efficaci” ai principali patogeni di patate e mais, le principali colture di questa meravigliosa terra. Non dicono ai contadini gli effetti dell’urea e dei diserbanti a lungo periodo nei campi; non dicono che l’eccesso di nitrati negli ortaggi a foglia verde è pericoloso; non dicono che la fertilità del terreno è, oltre che minerale, organica. Insomma vendono ai contadini semi, diserbanti, concimi e antiparassitari come in una ricetta medica, con trattamenti a calendario. Per chi non è del mestiere questo significa che, ci sia o no la malattia, l’agronomo prescrive a date prestabilite dei trattamenti o delle concimazioni. Il problema è anche che, magari, per un anno, offrono anche gratuitamente queste soluzioni, in maniera da “comprarsi” il contadino, che vista la produzione che ottiene, sicuramente abbondante ma non sana, ritorna dal venditore per comprare di nuovo, a proprie spese, gli stessi prodotti. Risultato? Mi hanno detto che il 92% dei contadini, che in passato concimavano con letame il terreno, ora usano solo prodotti chimici.

In Europa questo, grazie a Dio, non è più possibile grazie all’entrata in vigore dal 1 gennaio 2014 del regime di agricoltura integrata. Quello che però è grave è che qui sono proprio gli europei e gli americani che, con le loro Toyota 4×4, entrano nei campi promuovendo quei prodotti che magari nei loro paesi sono pure vietati.

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Il paradosso.

Della storica rivalità Sud America – Nord America questo dicono alcuni amici boliviani:

“tráeme una catástrofe, que te enseñaré como conseguir un millón de dólares” (“portami una catastrofe che ti faccio vedere come fare milioni di dollari”).

Siccità, taglio indiscriminato di boschi, perdita di fertilità dei suoli sono solo alcuni dei problemi che i contadini devono provare a risolvere. E quindi l’idea di molti progetti statali e di cooperazione, guarda un po’, è di risolvere piantando alberi e cambiando strategia di produzione, passando da una produzione convenzionale ad una produzione organica, rigenerando il suolo e la sua fertilità partendo dalla sostanza organica.

E seppure l’idea di produrre senza chimica per i più giovani è cosa dura, moltissimi anziani e meno giovani preparano con passione bokashi e preparati fogliari, perché sanno che si può cambiare, anche se il cammino da fare è ancora lungo…

Da questo presupposto nasce l’idea della agricoltura organica.

L’agricoltura organica è infatti un sistema di produzione che preserva e migliora la salute dei suoli, degli ecosistemi e delle persone. Si base sullo scambio di conoscenze e sull’esperienza diretta degli agricoltori: si “comparte” come si dice qui in Bolivia, si scambia e si socializza e per questo è un processo democratico. Si basa sulla biodiversità e sullo studio delle condizioni locali, senza nessun tipo di utilizzo di mezzi chimici. L’agricoltura organica combina tradizione, innovazione e scienza per migliorare l’ambiente promuovendo relazioni giuste tra produttori ed ecosistema agricolo, creando una buona qualità di vita di tutti coloro che partecipano al processo produttivo.

Un altro obiettivo dell’agricoltura organica, e questo mi era sfuggito quando partecipai al corso anni fa, è di ricostruire il tessuto sociale: creare aggregazione e solidarietà basandosi sul confronto e sullo scambio di esperienze. La terra infatti non può essere vista solo come un bene materiale o un mezzo per fare denaro. Per gli indigeni la terra è Pachamama (in quechua), Madre Terra.

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Il tentativo che si sta facendo con molte Ong e in molti casi con l’appoggio di qualche alcalde con un minimo di buon senso è quello di restituire il sapere ai contadini e di rispolverare quelle “buone pratiche agricole” che ormai troviamo in tutti i programmi di sviluppo rurale in Italia. Come? Prima di tutto parlando con la gente, capendo quali sono le esigenze reali in merito ad aspetti produttivi e commerciali e poi impostando dei laboratori che hanno il solo scopo di “rinfrescare la memoria” su pratiche ancestrali di fertilità e gestione del suolo. Pensate che quando si beve una qualsiasi bevanda, nel campo boliviano, il primo sorso è alla terra. Una sorta di benedizione.

Come però permettere l’utilizzo di una miriade di prodotti di cui abusiamo e da cui molto spesso siamo abusati? Quanti dei contadini in Italia non riescono a fare a meno dell’uso dei diserbanti considerandolo indispensabile? Molto spesso, infatti, come drogati, non riusciamo a fare a meno di alcune cose che così diventano essenziali.

Non voglio in questo articolo criticare alcuni modi di produzione. D’altronde ognuno è libero di fare come crede più opportuno. Quello che però voglio enfatizzare è la bellezza del produrre in maniera differente, di produrre con ideali e non solo con fattori di produzione così come ci insegnano nelle Facoltà di agraria.

La produzione è infatti molto di più: è qualcosa che mette l’uomo in relazione con la natura attraverso l’acqua, la terra e, attraverso la vendita dei cibi, ad altri esseri umani o, se pensiamo alla produzione di foraggio, ad altri animali.

In questo senso si sviluppa l’agricoltura organica.

Ed in questo senso nelle comunità di Tarja stiamo cercando di ricostruire questi processi “comunitari”. Comunitari perché non solo i saperi si condividono tra i membri della comunità, ma perché all’interno della stessa comunità ci si riunisce per autoprodurre bio-insumos ossia prodotti che, in alternativa a quelli chimici, vengono poi usati dagli stessi campesinos per difendere e concimare le piante.

L’obiettivo di questi preparati è quello di sfruttare al massimo le risorse del territorio e quindi molti ingredienti possono essere sostituiti con un minimo di criterio, così come fanno le nostre mamme quando non hanno un ingrediente per una minestra.

Ogni contadino, così come un buon cuoco, con la sua esperienza, capirà quali sono le migliori proporzioni o i migliori ingredienti per produrre dei buoni prodotti.

 

La maggior parte degli ingredienti che si utilizzano in questi preparati sono i seguenti:

Acqua: indispensabile per mescolare gli ingredienti, per amalgamare i composti e per farli fermentare. La maggior parte dei microrganismi infatti si distribuiscono più uniformemente in un mezzo liquido.

Calce: serve per equilibrare l’acidità nei composti, con il fine di non sbilanciare molto il pH del suolo che svolge un ruolo più che fondamentale nello sviluppo della flora e fauna microbica. NON USARE LA CALCE AGRICOLA. È consigliabile usare calce viva o idrossido di calcio. È fondamentale nella preparazione di alcuni composti a base di zolfo che ci aiuteranno a proteggere le nostre colture da numerosi parassiti.

Carbone: migliora le caratteristiche fisiche del suolo, trattenendo per esempio calore, e grazie alla sua porosità consente di trattenere l’umidità e di ospitare numerosissimi microrganismi.

Cenere: insostituibile fonte di potassio e sali minerali. Importante ingrediente in moltissimi ammendanti dell’agricoltura organica.

Letame: principale fonte di azoto e di microrganismi, i veri protagonisti delle fermentazioni. Sono infatti lieviti, funghi e batteri che attraverso la digestione e la trasformazione della sostanza organica liberano i nutrienti nel suolo, rendendoli così disponibili alle piante.

Latte o siero: il latte come tutti sanno è ricco in calcio e in amminoacidi e grassi necessari ai microrganismi per lavorare.

Lievito: il lievito si aggiunge in numerosi preparati per facilitare e accelerare l’attività fermentativa dei bio-insumos. Non è un ingrediente fondamentale se, per esempio, si usano prodotti freschi come latte crudo o letame freschissimo.

Zuccheri: gli zuccheri hanno il compito di aumentare il processo fermentativo. Si aggiungono con il lievito al fine di rendere il composto più appetibile ai microrganismi.

Farine e crusche: sono un’ottima fonte di micronutrienti che faciliteranno il lavoro di fermentazione.

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Paglia di cereali: un buon composto deve avere un buon rapporto Carbonio/Azoto (C/N). Il letame fresco ha una buona quantità di azoto; le paglie hanno una alta quantità di carbonio. Il rapporto C/N ha l’obiettivo di equilibrare i nutrienti a disposizione dei microrganismi al fine di potersi riprodurre nel miglior modo possibile. La paglia, opportunamente tritata, ha anche il compito di aumentare l’areazione del composto.

Zolfo: lo zolfo è un importante elemento necessario alla nutrizione delle piante e alla loro difesa. Può essere usato per arricchire il Bokashi allo stato solido o può essere reso solubile con l’utilizzo di calce ad alte temperature.

Terra (meglio se di bosco): se non si ha a disposizione un bosco nelle vicinanze meglio una terra argillosa perché più ricca di nutrienti e con proprietà migliori. È indispensabile per distribuire i materiali del composto e per un corretto sviluppo dei microrganismi del suolo.

Farina di roccia: quando si ha a disposizione una ottime fonte di minerali nel suolo, alla stregua dei concimi chimici, con effetti più stabili e duraturi nel tempo.

L’agricoltura organica quindi non è un cambiamento solo della produzione ma è una vera e propria rivoluzione che inizia dal produttore prima, passa dal tecnico e arriva al consumatore.

Ciò significa abbandonare l’idea che la chimica sia strettamente necessaria e ritornare al senso della produzione degli alimenti, riportare dignità ai processi produttivi, rivalutare la complessità dell’ecologia e dell’ecosistema agrario, valorizzare le vecchie varietà agricole e alcuni metodi di produzione che, ancora oggi, possono risultare efficienti.

È difficile ammettere di essersi sbagliati. Non è difficile capire dove andare. È difficile capire come andare. Iniziamo con un sorso alla Pachamama

 

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