Alcune emergenze ambientali e culturali

Il brano che riproduco di seguito è tratto, integralmente, dal seguente contributo: SANTAMARIA P., PARENTE A., MAGNIFICO V., 2001. Variazioni del paesaggio agrario di Mola di Bari in funzione delle trasformazioni colturali: progresso o involuzione? Atti del Convegno “Territorio e Società nelle aree meridionali”, 24-27 ottobre 1996, Bari-Matera, Adda Editore, Bari, 451-464. Si collega a quanto ho raccontato a proposito del marciume radicale che ha distrutto migliaia di ettari di carciofo a Mola di Bari.

Durante gli anni 70, quando il carciofo e l’uva da tavola produssero i migliori risultati economici, l’agricoltore molese operò lavori di miglioramento fondiario e recuperò all’attività primaria anche le terre più marginali. Per farlo, ricorse al dissodamento, allo scasso e all’aumento dello strato arabile con terreno di riporto estratto da altri appezzamenti. Nacque così il “mercato del terreno”, gestito da un paio di privati senza scrupoli che avviarono nella contrada più fertile (Pozzovivo) l’attività estrattiva di terreno agrario alluvionato. L’estrazione e la coltivazione delle cave (che nessuno aveva mai autorizzato) si protrassero fino al 1988 quando il Comune di Mola ne ordinò la sospensione (Santamaria, 1989). Dopo oltre 20 anni, quelle cave (complessivamente 20 ha, profonde anche più di 10 m) non sono state ancora recuperate e lacerano il tessuto paesistico così com’era entrato nelle immagini delle popolazioni. Il danno prodotto concerne la sicurezza stradale, il pericolo di franamenti, la salubrità dell’ambiente, la produttività e la sicurezza dei terreni vicini, l’inquinamento della falda freatica (più volte affiorata durante i lavori di estrazione del terreno) e la sottrazione di una risorsa non rinnovabile, che è anche una penosa sottrazione ai quadri soggettivi, una ferita psicologica. Anche questo è da considerare, oltre al degrado ambientale, spesso accresciuto dall’uso di queste cave abbandonate come discariche di rifiuti più o meno autorizzate. Ma in questo caso, al danno si è aggiunta la beffa: gli agricoltori hanno pagato il terreno, in media, 5.000 lire/m3, ma solo pochi hanno ricevuto quello più superficiale; moltissimi, invece, si sono dovuti accontentare di terreno scavato a profondità notevole, caratterizzato da assenza quasi assoluta di sostanza organica, azoto e fosforo e soprattutto di pessima struttura (Magnifico, 1981). Tutto ciò si è tradotto in ristagni di acqua superficiali, che hanno favorito lo sviluppo dei marciumi radicali, divenuti, come si è detto, il problema principale per la coltivazione del carciofo.

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