Tra i documenti conservati presso l’archivio del prof. Vito V. Bianco abbiamo ritrovato una copia del Quaderno n. 18 dell’E.N.S.E. (Ente Nazionale Sementi Elette) intitolato ‘La produzione del seme di cetriolo, cocomero e melone, scritto a cura del dott. Arnaldo Duranti e pubblicato a Bologna nel 1962.
Frontespizio della pubblicazione E.N.S.E. del 1962, dedicata alla produzione del seme di cetriolo, cocomero e melone in Italia.
Importanza economica di cetriolo, cocomero e melone in Italia nel 1959-61
Il rapporto riferisce che, nel periodo 1959-1961, la coltivazione di queste cucurbitacee era diffusa in quasi tutte le regioni italiane, e che la produzione italiana era in continuo aumento. La Puglia vantava il primato nella coltivazione del melone, con una superficie media di 4.517 ha ed una produzione media di quasi 760.000 quintali, di cui Foggia era la provincia con i maggiori investimenti (con 2.627 ha). La Puglia era anche tra le regioni più importanti nella produzione di cetriolo (in particolare nella provincia di Bari) e nella produzione di cocomero (terza nella classifica statistica).
Tabella estratta dalla pubblicazione E.N.S.E. del 1962, in cui sono riportati i dati sulle superfici investite e le produzioni realizzate in Italia nel triennio 1959-61.
L’autore rileva come fosse particolarmente importante il canale dell’esportazione verso l’estero per il cetriolo (in particolare verso i mercati inglesi e tedeschi), mentre esigua fosse l’esportazione di cocomeri e meloni, e questo a motivo in particolare della ‘scarsa rispondenza delle caratteristiche commerciali (…)’, dovuta al ‘diffuso impiego di sementi ottenute da coltivazioni non specializzate’ ed alla conseguente ‘deficiente purezza genetica e, conseguentemente, alla notevole variabilità morfo-fisiologica che caratterizzano il nostro patrimonio varietale’.
Pertanto, secondo l’autore, se da un lato l’Italia vantava le condizioni di privilegio assicurate dal clima e dalla vicinanza ai maggiori mercati di consumo, dall’altra l’assenza di una appropriata selezione varietale e produzione sementiera rappresentavano fattori critici rispetto alla concorrenza degli altri Paesi europei. L’autore rileva pertanto la necessità di ‘procedere alla caratterizzazione delle cultivar più pregiate nell’intento di definire degli standard varietali’, a cui doveva seguire un’opera di ‘miglioramento genetico per poter migliorare il patrimonio varietale esistente (…) da riprodurre successivamente in purezza’.
Il melone ‘brindisino’ tra le cultivar di melone più importanti
Il rapporto dell’E.N.S.E. riporta quindi alcune informazioni relative alla posizione sistematica, ai caratteri botanici ed alle principali cultivar di melone presenti in Italia in quel periodo.
Descrizione della posizione sistematica del melone riportata nel Quaderno E.N.S.E.
L’autore riferisce la classificazione delle cultivar di melone in tre categorie principali con le seguenti caratteristiche: 1) ‘cantalupi o zatte: frutti ovali o tondeggianti, appiattiti ai poli, più o meno costoluti, profumati, poco serbevoli; buccia sovente spessa, talvolta rugosa o bernoccoluta’; 2) ‘reticolati: a frutti poco allungati o tondeggianti, con costole poco pronunciate o assenti, profumati, poco serbevoli; buccia sottile, ricoperta da rilievi più o meno intrecciati e prominenti’; 3) ‘lisci o invernali: a frutti allungati o lisci, poco profumati, molto serbevoli.
L’autore riporta i nomi delle cultivar di melone, locali o d’importazione più coltivate in Italia in quel periodo. Tra le cultivar ‘cantalupo’ sono citate le cultivar ‘Charentais’, ‘Di Bellagarde’, ‘Nero dei Carmelitani’ e ‘Prescott’; tra quelle ‘retate’, invece, ‘Ananasso d’America’, ‘Degli Ortolani, ‘Golden Delight’, ‘Hale’s Best’ ‘Honey Ball’ e ‘Pershaw Golden’. Quindi, apparentemente, per queste due tipologie di melone prevalevano le cultivar di origine straniera.
Un’immagine di melone cantalupo della varietà ‘Charentais’ riportata nel testo.
Con riferimento alle cultivar ‘invernali’, invece, sono citate ‘Brindisino’, ‘Napoletano o Rognoso’, ‘Palermitano’, ‘Maltese o Gelato’ e ‘Honey Dewey’. Quindi, in questo caso le principali cultivar erano italiane, e tra queste in particolare il ‘Brindisino’ è descritta come cultivar ‘a frutto ovale, grande, del peso di 3-5 kg, serbevole, buccia liscia e gialla, polpa bianca e liquescente’.
Estratto della pubblicazione E.N.S.E. in cui è descritto il melone invernale ‘brindisino’.
A cura della Cooperativa AGRIS