Nei mesi scorsi, nel corso delle esplorazioni territoriali finalizzate alla ricerca di notizie di varietà a rischio di estinzione, abbiamo avuto l’occasione di incontrare il sig. Giuseppe Buono, conosciuto da tutti come ‘Peppino’, storico orticoltore barese ormai in pensione, in compagnia di suo nipote Vito Buono, noto giornalista e scrittore barese, autore di numerose pubblicazioni sulla gastronomia e le tradizioni locali pugliesi. Nel corso dell’incontro, discorrendo in particolare di storia e tradizioni legate all’orticoltura barese, Vito e Peppino hanno ricordato con affetto e nostalgia una speciale varietà di pomodoro coltivata diffusamente sin dal dopoguerra in tutti gli orti dell’hinterland barese, il cosiddetto pomodoro ‘barese’, di cui pare che rimangano ormai solo pochi ‘appassionati’ custodi.
Nei mesi scorsi abbiamo incontrato il sig. Giuseppe Buono e suo nipote Vito, che ci hanno fornito numerose informazioni storiche sull’orticoltura nell’hinterland barese.
Il pomodoro è parte della storia e delle tradizioni baresi
Vito e Peppino ci hanno raccontato che, a loro memoria, dagli anni trenta ai settanta del secolo scorso, non solo l’economia agricola locale era basata sulla coltivazione, raccolta e commercializzazione del pomodoro ‘barese’, ma che a questa varietà erano legate numerose tradizioni della cittadinanza stessa. Da un punto di vista agricolo, innanzitutto, in quegli anni, il pomodoro ‘barese’ era l’unica varietà presente, di cui ciascun orticoltore riproduceva e conservava la semente, sostituita poi con le tipologie del ‘San Marzano’ o del ‘Roma’ grazie alla diffusione progressiva dell’attività vivaistica.
Secondo il sig. Peppino, si trattava di una varietà ben adattata alle condizioni pedo-climatiche locali ed abbastanza resistente alle principali avversità fitosanitarie. Le piante erano tradizionalmente mantenute ‘in asciutta’ fin quasi alla fioritura, e successivamente irrigate per favorire una buona produzione: l’acqua impiegata per l’irrigazione era tipicamente salmastra, poiché prelevata da pozzi superficiali scavati lungo la costa barese, e questo concorreva in modo determinante ad aumentare la sapidità del pomodoro. Gli orticoltori iniziavano a raccogliere le bacche di pomodoro sin dalla fase di ‘viraggio’ del colore, i cosiddetti pomodori ‘mjinze e mjinze’ (‘metà e metà’, nel dialetto barese), quando cioè si presentavano con un colore tendenzialmente rosso-arancio ma con il colletto ancora verde, destinati prevalentemente al consumo fresco da insalata e commercializzati attraverso il mercato generale di Bari.
Una foto di pomodoro ‘barese’, in cui si notano bacche mature accanto ai cosiddetti ‘mjinze e mjinze’ (metà e metà) (tratta dall’archivio personale di Vito Buono).
Il prodotto maturo, invece, era tradizionalmente destinato alla produzione di sughi, ragù e a tutti gli altri impieghi di cucina e di forno per i quali era prediletto il prodotto fresco. Tuttavia, il punto di forza di questo pomodoro era legato all’usanza dei baresi di conservarlo, per farne scorta e continuare ad usarlo durante i mesi autunnali, invernali e primaverili. Questa era una pratica diffusissima fra i baresi, a cui erano dedite la gran parte delle famiglie, ed alle quali erano gli stessi agricoltori, come il sig. Peppino, a fornirne il prodotto consegnandolo a domicilio utilizzando come mezzo di trasporto un carro trainato da cavallo (detto ‘u trajine’ o ‘u sabrammòlle’). Infine, una parte del prodotto, quando il prezzo calava nel periodo di maggiore produzione, era destinato alla locale industria di trasformazione, in primis al locale stabilimento de La Rocca, che consentiva normalmente di smaltire l’eccedenza produttiva o il prodotto di minore qualità.
Il sig. Vito ci racconta che la realizzazione delle cosiddette conserve di pomodoro coinvolgeva nel periodo estivo interi nuclei familiari, ed è una tradizione che tutt’ora persiste in molte famiglie baresi. Tra le principali modalità di trasformazione e conservazione vi era innanzitutto la salsa di pomodoro, conservata in bottiglie di vetro (previa cottura e spremitura), chiuse con tappi di sughero fermati con legacci di spago oppure chiuse con tappi metallici a corona; oppure i cosiddetti pomodori a pezzetti, tagliati a spicchi e infilati a crudo in bottiglie di vetro; o la cosiddetta ‘conserva’ , una salsa essiccata al sole e conservata in vasetti di vetro o ceramica; per finire con i pomodori secchi, spaccati in due e seccati al sole su graticci e cosparsi di qualche granello di sale grosso che ne favoriva la disidratazione.
Alcuni esempi di modalità ‘baresi’ di conservazione del pomodoro; da sinistra: un piatto con la cosiddetta ‘conserva’, le bottiglie di pomodori ‘a pezzetti’, un cesto di pomodori secchi (foto tratte dall’archivio personale di Vito Buono).
A cura della Cooperativa AGRIS