L’agricoltura svolge un ruolo fondamentale nella nostra società. La produzione del cibo, la conservazione del paesaggio, la protezione dell’ambiente e la tutela delle tradizioni contadine passano per il settore primario. Se però la commercializzazione dei prodotti agroalimentari è ormai appannaggio della grande distribuzione organizzata, tanti, ma davvero tanti, sono i contadini che con dedizione e lavoro portano avanti gli appezzamenti di famiglia con semi che si sono tramandati nel corso dei secoli, da padre a figlio. Per fortuna ci sono loro che, con passione e dedizione, continuano questo lungo, lento e silenzioso lavoro. Molti di loro sono anziani, moltissimi sono invece adulti e anche ragazzi che hanno scelto di dedicarsi alla terra. Parlare con loro è ogni giorno una scoperta grandiosa: non si finisce mai di imparare.
Di Angelo Passalacqua abbiamo già parlato su questo sito, così come dei tanti biopatriarchi che oggi, con il loro lavoro, tutelano la biodiversità della Puglia. Tuttavia Angelo non è solo un salvatore di semi ma anche un grande amico e un grande conoscitore di specie spontanee eduli pugliesi. In una delle chiacchierate fatte con lui rimasi colpito da una specie che avevo imparato a riconoscere ma che non avevo mai avuto il piacere di assaggiare e di cui Angelo era un grande appassionato e conoscitore.
La barba di becco violetta (Tragopogon porrifolius L.) è la specie di cui parlavamo. Il nome deriva dal greco “tragòs” = “capra” e “pogòn” = “barba“. Il nome deriva dal frutto: un esile becco che in fase di maturazione presenta un lungo pappo che ricorda la barbetta di una capra. Già Dioscoride parlava di una specie denominata barba di capra molto apprezzata per la sua bontà e la sua delicatezza.
Alla specie sono attribuite proprietà depurative e diuretiche ed essendo molto ricca di inulina, viene utilizzata per la produzione di zucchero per diabetici.
Nel dialetto santermano la specie è comunemente chiamata “pan cirr” (pane col ciuffo) ma “u cirr” è detto anche il tentacolo del polpo ed in effetti la rosetta lo ricorda un po’.

In Puglia, così come in altre regioni di Italia, si usano sia le foglie tenere – crude in insalata – sia fusti e germogli – cotti, lessati e conditi con olio e sale o utilizzate in gustose frittate – sia la radice, la parte edule della pianta più ambita dai raccoglitori. La radice lessata, affettata a rondelle e condita è uno dei piatti preferiti di Angelo. Ci tiene però ad aggiungere: “Non tagliarle troppo sottili: devono rimanere ben croccanti.”
“Le sue radice al tempo dell’inverno vole servire nel’insalate, per essere assai dolce e gustevole” (Costanzo Felici). Già, infatti le radici sono davvero dolci.
Angelo mi svela anche qualche segreto utile per la raccolta della specie e la sua coltivazione. Da tempo, infatti, piante di barba di becco sono presenti nel suo orto, alla stregua di lattughe, carote, bietole e cicorie.
Le prime notizie di questa coltivazione risalgono al XVI secolo, mentre il T. pratensis, specie molto simile, era attivamente coltivata in Inghilterra fino al 1900 circa dove sostituì la Scorzonera hispanica L.. La coltivazione consente di ottenere radici di più grande pezzatura e di più semplice estrazione dal terreno. La raccolta va effettuata prima che la specie vada in fioritura: in seguito le radici risultano fibrose e immangiabili.
La coltivazione è molto semplice: basta andare in natura, raccogliere il seme (ogni pianta produce una quarantina di semi) e interrarlo in autunno o primavera. Le radici saranno pronte al secondo anno, dato che la specie è biennale, ma già dal primo anno le rosette basali possono essere gustate.
Interessante curiosità è il fiore, che ben aperto al mattino, si chiude a mezzogiorno.
Riporto, dal blog di Angelo (http://amicidellortodue.blogspot.it/) due ricette per consumare questa prelibata specie:
Radice di barba di becco al sugo:
Ingredienti: radice di barba di becco, sugo di carne, timo, olio, parmigiano, sale.
Procedimento: pulire bene le radici. Tagliarle a dischetti sottili che verranno fritti in olio, con sale e timo. Il tutto si mescola al sugo di carne facendo cuocere a fuoco lento fino a cottura. Aggiungere infine il parmigiano prima di servire.
Barbe di becco gratinate:
Ingredienti: teneri getti di barba di becco, besciamella, prosciutto crudo, formaggio fresco.
Procedimento: scegliere i getti più sani privandoli delle foglie appassite e lessarli in acqua salata. In una pirofila imburrata si deporranno vicini, a coprire tutto il piano e su questo si poggiano sottili fette di prosciutto e fettine di formaggio. Eventualmente è possibile effettuare un doppio strato. In seguito si versa la besciamella e si inforna fino a doratura.
In alcune prove effettuate presso l’azienda sperimentale si è provato a coltivare in vaso la specie ma con scarsi risultati: tuttavia rappresenta un ortaggio molto interessante per il suo gusto delicato.
L’importanza di passare queste conoscenze alle generazione future è determinante per mantenere vive non solo gli usi di queste specie ma la nostra storia, le nostre radici, per comprendere quanto, nonostante tutto, la natura e l’uomo hanno saputo convivere pacificamente. La pazienza di Angelo nel sperimentare la coltivazione di queste specie è inoltre una possibilità interessante di preservare la specie nella sua diffusione naturale e di ottenere sicuramente un prodotto migliore per poter essere consumato.
Grazie Angelo per la tua bella lezione di biodiversità in campo ed in tavola…