Biodiversità orticola e tradizioni gastronomiche nell’Alta Murgia barese

Spunti tratti dal libro “A tavola nell’Alta Murgia” (di V. Buono e A. Delle Foglie – Levante Editori, Bari, 2005)

Con il terzo volume della collana “percorsi” – “A Tavola nell’Alta Murgia” (di Vito Buono e Angela Delle Foglie (Levante editori – 2005) – si percorre l’ampio altopiano carsico che è a sud-ovest delle provincia di Bari e a sud-est della provincia BAT. Qui la lunga e rigogliosa foresta di olivi che domina il paesaggio più vicino alla costa spegne un po’ la sua prepotenza a mano a mano che si sale verso i territori più collinari dell’entroterra, fino a perderla del tutto quand’è ad una ventina di chilometri dalla costa adriatica nel cuore dell’Alta Murgia. Gradualmente gli olivi cedono ai mandorli e alle vigne, poi ai boschi cedui di querce quindi ai pascoli arborati e alle poco generose pseudosteppe. Più in là la Murgia cede alle terre argillose che preludono alla Fossa Bradanica: un prezioso granaio, per lo più, ma popolato di modesti orti che scortano una miriade di piccoli rivoli e di misurati invasi dove l’acqua si ferma quel tanto che basta per soddisfare la sete degli ortaggi. Così, nel breve tratto di una manciata di chilometri, il paesaggio cambia radicalmente passando da un aspetto di grande floridezza ambientale ad uno di grande miseria, dalla opulenza alla povertà, dalla foresta di ulivi al deserto, per tornare alla opulenza dei confini meridionali.

Rappresentazione grafica dei comuni interessati con la copertina del libro “A tavola nell’Alta Murgia” edito da Levante Editori (2005).

Erbe spontanee, funghi e pastorizia alle radici della tradizione gastronomica

Sul perimetro di questa porzione di territorio pugliese si dispongono popolose città con una fiorente economia agricola. Ad olivi, mandorli e vigne qui però danno man forte i cereali, i legumi e i grani che alimentano una eccellente produzione di pasta alimentare e di pane. La ricchezza delle produzioni agricole sembra riservata ai territori più marginali a quelli più prettamente murgiani, ma così non è. Anche le aree boschive e quelle pseudosteppiche si rilevano preziose per l’economia agricola e forniscono materie prime che hanno segnato profondamente le tradizioni gastronomiche. Si pensi alla straordinaria varietà di erbe spontanee che tanta parte hanno nella preparazione di piatti tipici della civiltà pastorale: cicorielle, tarassachi, giovani cardi selvatici, finocchietto, timi, origani, santoreggie, lambascioni (Muscari comosum (L.) Mill.).

Il territorio carsico murgiano dispensa anche funghi prelibatissimi che sono sempre presenti a tavola, dovunque. Li chiamano Cardoncelli (Pleurotus eryngii (DC.) Gillet) e Funghi di Ferola (Pleurotus eryngii var. ferulae). Ci sono poi i funghi ipogei, i tartufi, dispensati dalle aree boschive. Due i più frequenti, il Bianchetto (Tuber borchii Vittad.) e lo “Scorzone” (Tuber aestivum Vittad.); si tratta di due splendide e nuove realtà gastronomiche che arricchiscono il paniere di questa terra e a cui si rivolge ora una nuova e particolare attenzione.

Gli incolti hanno poi un ruolo di primo piano nella pastorizia e quindi nella produzione di carni ovine, latticini e formaggi pecorini. Tra i formaggi il re è il Canestrato Pugliese. A proteggere la sua identità c’è il marchio DOP. Un riconoscimento opportuno per un formaggio che è l’espressione più preziosa della nostra tradizione casearia derivata dal latte ovino. Ad esso si aggiungono tutte le produzioni tipiche casearie della nostra terra e la ‘mitica’ burrata che con uno strato esterno di pasta filata avvolge panna mista a pasta filata in pezzi.

Piatti tradizionali a base di verdure spontanee e ortaggi

Dalle carni ovine la tradizione gastronomica ha attinto a piene mani non soltanto per i classici arrosti o gli umidi ma pure per quei piatti unici che affondano le radici nella più antica tradizione pastorale. Si pensi al cosidetto “Calarijdde” di Gravina in cui carni e verdure selvatiche si sposano in un inebriante sodalizio di sapori e odori. Nasce come la minestra del pastore che unisce all’agnello molte erbe selvatiche di stagione, lasciando poi cuocere il tutto nel camino, in quelle grandi pentole di rame che si usavano un tempo: l’agnello, tagliato a pezzetti viene messo in pentola con olio, cipolla, pomodorino e coperto d’acqua; viene poi accompagnato da un assortimento il più possibile ricco di verdure campestri; immancabile, secondo la tradizione più antica, è il finocchietto selvatico, a cui poi si legano bene la cicoriella selvatica, il grespino, la senape, ecc.; nell’uso comune, quando c’è difficoltà a reperire le erbe selvatiche, si fa ricorso anche alle alle cime di rape e alle bietole. Diverse le varianti di questa preparazione che però hanno sempre in comune il sodalizio di carni ovine e verdure selvatiche e non: la pecora “a la rezzàule” ad Altamura o “u cuturrìjdde” a Minervino, una variante con l’apporto di cime di rape e funghi cardoncelli.

Da sinistra: il “Calarijdde” di Gravina, le cime di rape di Minervino e le cime di rape con la salsiccia di Minervino.

A proposito di cime di rape non si può tacere di quelle di Minervino coltivate quasi esclusivamente in asciutto e apparecchiate per la vendita quasi come un bouquet di fiori e quasi totalmente private delle loro foglie più grandi. Un tempo riservata quasi al consumo locale questa cima di rapa ha conquistato pian piano anche i mercati più vicini e tende ora a imporsi nelle competizioni con le varietà più tipiche di altri territori pugliesi. A Minervino, come altrove, la cima di rapa ha un diffuso utilizzo in cucina e accanto alle preparazioni comuni agli altri territori pugliesi qui, precedentemente lessata, si unisce volentieri alla salsiccia a punta di coltello aromatizzata con semi di finocchietto e cucinata in padella in un soffritto d’aglio, saltandola con la salsiccia per qualche minuto: anche in questo caso un piatto unico che allea le proprietà delle verdure a quelle della carne.

Funghi, lambascioni e cardoncelli (giovani piantine di un cardo selvatico, lo Scolymus hispanicus) sono anch’essi assidui alleati delle carni ovine tanto al forno, come nel caso di lambascioni e funghi, quanto in brodo con i cardoncelli. In quest’ultimo caso a dar man forte alla carne e al cardoncello si unisce un battuto d’uovo per farne un piatto tipico di Minervino per il periodo pasquale, chiamato ‘vrdett’. 

Da sinistra: funghi cardoncelli al forno con patate, il mitico “lambascione” ovvero Muscari comosum (L.) Mill., l’agnello con i giovani cardoncelli, lo Scolymus hispanicus L., e il battuto d’uovo (‘vrdett’).

L’apporto proteico alla dieta è garantito anche da un’ampia scelta di legumi di ottima qualità: i ceci trovano la loro migliore qualità nei terreni di Spinazzola; le cicerchie godono di una rinnovata popolarità conquistando sempre maggiori aree murgiane; la prelibata lenticchia di Altamura s’è ormai guadagnato il marchio IGP. Nonostante, però, l’Alta Murgia non sembri vocata agli orti non manca una preziosa, seppure non abbondante, produzione di ortaggi e verdure che hanno anch’essi segnato la gastronomia locale in maniera incisiva come è accaduto per i derivati dell’allevamento ovino, carni, latticini e formaggi. Nei menù di questa terra troviamo, oltre alle già ricordate cime di rape, spinaci, cipolle, peperoni e pomodori. Tipica la minestra di cavolfiore a Spinazzola che si avvale della collaborazione di pomodoro e peperoncino; gustosa e coloratissima la peperonata di Minervino con peperoni verdi, rossi e gialli; sempre a Minervino ottimi gli sponsali in camicia, arrostiti sulla brace prima da soli e poi di nuovo avvolti ciascuno in una fetta di pancetta tesa; un po’ dappertutto non è stato infine dimenticato il pancotto ora preparato con le cime di rape ora unito a questo o quell’ortaggio per dare una degna fine al pane murgiano che è buono anche quand’è raffermo.

Da sinistra: il cavolfiore con pomodoro e peperoncino di Spinazzola, i cavatelli con ceci e fagioli e l’immancabile alloro, la lenticchia di Altamura.

A cura della cooperativa AGRIS

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