Coltura tradizionale dell’area mediterranea, il carciofo è stato presumibilmente domesticato in Italia meridionale o nord Africa e alcune evidenze scientifiche individuano in particolare la Sicilia come regione in cui si sarebbe passati dalla forma selvatica (il cardo selvatico) a quella che conosciamo e consumiamo oggi.
L’Italia è ricca di germoplasma di carciofo, infatti numerose sono le varietà diffuse dal sud al centro-nord e che, in base alla morfologia del capolino (l’infiorescenza immatura che mangiamo), sono state raggruppate in quattro tipologie principali: ‘Spinosi’, ‘Catanesi’, ‘Romaneschi’ e ‘Violetti’. I primi due tipi, dal capolino piccolo e di forma allungata, sono precoci o rifiorenti, cioè producono infiorescenze dall’autunno fino alla primavera inoltrata. I ‘Romaneschi’ (dai capolini grandi e tondeggianti o ellittici) e i ‘Violetti’ (con capolini piccoli e allungati) sono invece tardivi e la loro produzione è limitata al periodo primaverile.
A parte questi gruppi facilmente riconoscibili, ci sono poi altre varietà che non ricadono in tali tipologie e che presentano caratteri intermedi o differenti. Tra questi riscontriamo il ‘Carciofo nero del Salento’, che può prendere il nome dalle diverse località in cui è diffuso (ad es. ‘Nero di San Foca’, ‘Nero di Castrignano’, ecc.).
È un carciofo dalle forme molto particolari, infatti le brattee (foglie trasformate) che compongono il capolino sono estroflesse, cioè rivolte verso l’esterno, anche a maturità commerciale, e gli conferiscono un insolito e grazioso aspetto di fiore. L’abbondanza di pigmenti antocianici attribuisce a questo carciofo una intensa colorazione viola scuro.
Grazie ai piccoli agricoltori e alle famiglie che negli orti continuano a coltivare da molto tempo questa antica varietà di carciofo, oggi possiamo preservarla e tramandarla alle generazioni future. Così come altre varietà di cui la Puglia è ricca e che con il progetto BiodiverSO contribuiremo a salvaguardare.