Il Cavolo riccio nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT)

La scheda predisposta da BiodiverSO per la Regione Puglia ai fini dell’inserimento nell’elenco dei PAT riporta, per quest’ortaggio, il termine “Cavolo riccio” come denominazione, nonché il termine “Cole rizze” (con la “e” muta) come nome geografico abbinato alla provincia di Bari. Sono presenti, tuttavia, altri sinonimi e termini dialettali: “Cavolo a foglia riccia e liscia”, “Cul rezz”, “Colerìzze”, “Càvele rizze”.

Il nome botanico è Brassica oleracea L. (Gruppo viridis) o Brassica oleracea L. var. acephala. Tollera terreni poveri e clima caldo. Ha foglie molto incise e frastagliate ma la variabilità di questo ortaggio è tale da portare anche foglie a margine intero. Il ciclo colturale è medio-precoce; si semina in estate. La parte edule è rappresentata dai giovani getti. Le cime sono piccole, la resa della raccolta è bassa. L’odore che produce è quello tipico delle brassicacee: forte e deciso.

Fave e “cole rizze” era il piatto tipico dei contadini e della povera gente fino agli anni ’50; una pietanza che andava consumata anche fredda e che a volte si mangiava come merenda durante le ore di lavoro nei campi.

Ai fini delle prove documentali per comprovare l’adozione di regole tradizionali ed omogenee inerenti la lavorazione e conservazione per un periodo non inferiore ai 25 anni, nella scheda è riportata l’indicazione e la scansione digitalizzata di alcune pagine del testo “Puglia dalla terra alla tavola” (AA.VV., 1990; Editore Mario Adda, Bari). Nella sezione dal titolo “«vademecum» della cucina tipica pugliese”, Luigi Sada, a pagina 349, descrive la ricetta dal titolo “Gnocchetti e cavoli ricci (“Ciambuddr-e colerìzze”) esclusiva dell’agro di Carbonara (Bari) e di Gallipoli (Lecce): «Piacevole minestra in uso soltanto in agro di Carbonara e di Gallipoli, dove appunto si coltiva il cavolo riccio. Pulire 500 g di cavoli ricci, lasciando i broccoli e le foglioline tenere; dare loro un bollo in molta acqua salata. Quindi versare nella medesima pentola 300 g di gnocchetti, da far cuocere al dente. Dopo aver scolato ben bene pasta e verdura, condirli con semplice sugo di pomodoro e formaggio pecorino grattugiato».

Si riporta anche la testimonianza tratta dal libro “40 ortaggi poco noti” del 1942; a pagina 69, l’autore, Angiolo Del Lungo, riporta: «V’è un gruppo di cavoli che si possono chiamare senza testa. A differenza degli altri, essi non sono coltivati cioè per l’infiorescenza o il “cappuccio”, ma solamente per le foglie; sono indicati anche nei cataloghi col nome di “cavoli non globosi” o cavoli da foglie. Ma se loro sono senza testa, hanno la testa bene a posto invece gli ortolani che li coltivano; essi, infatti, costituiscono un ottimo cibo, offrono un raccolto che si prolunga assai, staccando le foglie esterne man mano che sono sviluppate, anche nel pieno inverno».

Il Cavolo riccio viene descritto anche da Cesare Forti nel libro “La coltivazione degli ortaggi” (1929, a pagina 116), da Elio Gramignani nel “Trattato di Orticoltura” (1934, a pagina 255) e da Domenico Tamaro nel libro “Ortaggi di grande reddito. Trattato di orticoltura industriale. II volume” (1937, a pagina 759 a proposito della Coltivazione del cavolo a penna).

Nella scheda sono anche riportati gli estratti di alcune testate giornalistiche locali da cui si evince il consolidato commercio di questa varietà locale presso i mercati ortofrutticoli locali della Puglia.

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