Dagli orti di Peschici

Questa estate dal carattere bizzarro e volubile sarà ricordata come l’estate in cui è piovuto in una settimana più di un intero anno. Mille millimetri di pioggia ben distribuiti in 12 mesi sono una benedizione per la nostra terra. La stessa quantità di acqua, rovesciata come da un enorme catino, in soli sei giorni, diventa un enorme, ingestibile danno.
Sono salita sul Gargano il sabato successivo alla caduta della bomba d’acqua.
Gli orti tra Peschici e Rodi, ancora allagati, facevano da specchio al cielo gonfio di nuvole.
In quegli orti, situati ai piedi di verdi e profumate pinete secolari declinanti sul mare, convivevano verdure di stagione ed erbe spontanee accudite amorevolmente.
Spesso con mia madre, al tramonto, ci avviavamo verso la strada per aspettare l’arrivo dei contadini del posto che raggiungevano i campi accompagnandosi a un cane e a un asinello, e al ritorno, prima di raggiungere il paese si fermavano in prossimità di qualche villaggio turistico dove, senza insistenza, offrivano un prodotto di cui erano orgogliosi e convinti.
Da quegli orti, oltre a tante altre verdure di stagione, accuratamente avvolte in cartocci di foglie di fico legati con fili d’erba incrociati, arrivava una deliziosa e fresca insalata di lattuga, ruchetta selvatica, radicchietto e perchiazza (portulaca) dalle foglioline grasse e rotondette dal sapore già di per se più sapido delle altre, che dava un gusto speciale a quella misticanza.
Le erbe erano talmente fresche e curate nella raccolta che non necessitavano di alcuna pulizia di foglie marce o ingiallite, residui di terra o steli coriacei. Bastava una lavata veloce e, come diceva mia nonna per intendere che non era stato buttato via nulla durante la pulitura delle verdure, andava “tutta dentro al piatto”, pronta da gustare con un leggero condimento, insieme a cipolle, patate lesse e grandi fette di pane locale insaporite da olio, origano selvatico e pomodori di Mola.
Aprire quei cartocci, anche per noi bambini, era un’esperienza olfattiva straordinaria, che sapeva di foglie di fico, di erba appena tagliata, di selvatico e di fresco. Che ci insegnava odori millenari nuovi e sconosciuti acuiti dal profumo del mare e dal sentore leggermente salmastro dell’acqua dei pozzi con cui quella verdura veniva innaffiata e che il nostro olfatto, ancora molto giovane, non riconosceva ma registrava in maniera puntuale, pur senza riuscire a sistemarli tra gli odori a noi noti.
Alla marina di Peschici abbiamo soggiornato solo per poche settimane, in attesa di trasferirci in una villetta sulla litoranea per Vieste. Nello spostamento sono andate perse due cose molto belle: la possibilità di vivere una spiaggia che per la sua esposizione a nord ci regalava la gioia di assistere dallo stesso posto ad albe e tramonti spettacolari e quell’insalatina profumata.
L’ho ritrovata, a distanza di anni in una memoria olfattiva di bambina, che quegli odori ha mantenuto vigili e presenti donandomi, dopo tantissimo tempo, la possibilità di riviverli davanti a quegli orti devastati dalla violenza della pioggia, con la stessa intensità di quando, anni prima, venivano fuori da un piccolo cartoccio di foglie di fico appena aperto.

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