Al turista che percorre le strade pugliesi di certo non sfugge la lunga teoria di piante di Fichi d’India che le scortano; danno un tocco di esoticità alla nostra terra, per non dire dei colori di cui si vestono quando sono in fiore e in frutto. A quelle che i contadini avevano l’abitudine di piantare lungo i confini delle proprietà, a ridosso dei muretti a secco, sui terreni marginali inadatti ad ogni genere di coltivazione, sulle scarpate delle strade di campagna e sui pendii troppo ripidi e pietrosi delle lame, si sono aggiunte quelle che spontaneamente sono venute su laddove qualche cladodo troppo invadente è stato reciso e gettato via. Sì, perchè i cladodi (comunemente chiamati “pale”) hanno la straordinaria capacità di mettere radici alla svelta al solo contatto col terreno.
È una pianta vitalissima e resistente, il Fico d’India (Opuntia ficus-indica (L.) Mill.), e generosa di frutti eccellenti, ricchi di benefici nutrienti, tra i quali una buona dose di antiossidanti, vitamine, potassio, fosforo, calcio ecc. e senza alcuna traccia di colesterolo. Peccato però che gran parte di essi vada persa. Eh sì, perchè adesso i più non vogliono avere a che fare con le sue spine, piccole ma fastidiose; ma è perché quei più ignorano i piccoli accorgimenti in grado di neutralizzarle .
I frutti del Fico d’India, oltre che ad essere consumati un po’ refrigerati e sbucciati, possono essere anche schiacciati in un passatutto per liberarli dei semi o ridotti in succo con un estrattore per produrre un’ottima bevanda fresca e corroborante. Possono essere utilizzati per le confetture da spalmare sul pane, sulle fette biscottate o per le crostate. Anche le sue bucce, poi, private della pellicina esterna, possono essere destinate alle confetture ma pure fritte così come sono oppure a cotoletta, come usano fare in Sicilia.
Ciò che però molti ignorano è che anche i cladodi si prestano assai bene agli utilizzi gastronomici. Ci sono paesi, in particolare in Messico, dove la pratica di consumare i cladodi di questa cactacea è così tradizionale e diffusa che non c’è mercato o ortolano che non li esponga in vendita. Naturalmente ci riferiamo ai cladodi giovani, quelli cioè la pianta ha generato da poco e che non superano la dimensione di 20 cm di lunghezza. A questo stadio sono tenerissimi, di un verde più brillante, e le sue spine sono quasi per nulla o assai poco fastidiose.
Si prestano a molte preparazioni gastronomiche ma vanno preparati per l’uso: con un coltello assai affilato vanno privati delle spine dei bordi e delle due facce, quindi vanno tagliati a piccoli pezzi . Si noterà che secernono una abbondante sostanza gelatinosa, per eliminarla occorrerà quindi lessarli in acqua salata con aggiunta di un po’ d’aceto e poi lavarli abbondantemente in acqua corrente per eliminare ogni traccia di gelatina. Al termine di questa operazione si potranno consumare in diversi modi.
Eccone tre. Il primo, conditi semplicemente con olio e limone o aceto magari per un contorno a carne o pesce. Il secondo, ad insalata unendoli al pomodoro e conditi come più vi piace, ma in particolare, anche in questo caso, con olio e limone o aceto. Il terzo, saltati in padella: in questo caso si salteranno con olio, aglio, peperoncino e un pizzico di zenzero; quando saranno ben rosolati si fa sfumare il tutto con una bella spruzzata di succo di limone. Una consiglio, consumateli freddi o appena tiepidi.