Di Mola, coltivati sul mare, alle “Penne”

Queste le caratteristiche mai mutate nel tempo dei pomodori ideali da utilizzare per la salsa sul nostro territorio.

Sulla costa molese ci sono terre vocalmente ortalizie dove, grazie alla presenza di un terreno limo sabbioso dissetato da vene superficiali di acqua dolce con intrusioni di acqua marina, il pomodoro cresce bello, sano e saporito.

Fino a qualche anno fa, in alcuni appezzamenti sul mare, fra resti di antichi muretti a secco, sopravvivevano, ormai senza funzione, vecchie norie, costituite da una grande ruota verticale, con ancora “i galette”, piccoli secchi in ferro, collegata da un asse a una seconda ruota, sempre verticale, posta su una terza ruota, orizzontale.

In tempi passati, muli pazienti che lavoravano prevalentemente di notte, girando lentamente e faticosamente mettevano in azione la ruota con i secchi di ferro che, passando a pelo d’acqua, si inclinavano leggermente e grazie ad una conformazione adeguata di una parte del loro bordo riuscivano a pescarne a sufficienza, per poi rilasciarla, durante il sollevamento, dentro “u’ palummidde”, dal quale, l’acqua, mediante piccoli canali, arrivava a dissetare l’intero appezzamento.

Al centro della ruota trasportatrice venivano sistemati grossi fasci di lentisco che servivano ad intercettare e deviare all’interno del vascone ogni minima goccia dell’acqua rilasciata dai secchi, comprese le goccioline che restavano sulle foglie.

Nulla doveva andar perso di un bene prezioso che oggi sprechiamo sconsideratamente.

I contadini, terminata la raccolta mettevano da parte gli ultimi pomodori. I semi, estratti al tempo giusto erano custoditi in sacchetti di tela.
A primavera venivano tirati fuori e immersi in acqua tiepida per un giorno o due a ricevere una spinta vegetativa e successivamente interrati in piccoli semenzai, “i rodde”, scavati nel terreno e circondati da un muro in tufo, spesso locati in adiacenza di una “torre”, o di un ricovero per gli attrezzi, orientati a mezzogiorno al riparo dal maestrale.

I rodde” avevano una profondità di mezzo metro circa, con un fronte, di più o meno 50 cm di larghezza, verso il quale degradavano due ali laterali più alte.
Una volta pronti, venivano coperti con una lastra di vetro intelaiata in legno che garantiva la luce, teneva i semi al riparo e poteva essere spostata per dare umidità al terreno.

Come pacciamante i contadini utilizzavano foglie di posidonia miste a letame di animali.
Raccoglievano la posidonia sulla costa e ne riempivano i traini di legno per portarla in campagna dove, sistemata in grandi mucchi sul terreno, veniva lasciata a “maturare” per parecchi mesi.

Poco lontano, in un altro cumulo, maturava sterco di cavallo.

All’epoca non era inusuale vedere bambini girare per le strade con grandi cesti coperti da un telo in cerca di “cacche di cavallo” da portare in campagna per produrre letame.
Passato il giusto tempo, i due cumuli venivano “aperti”, mescolati e riportati con i carri nei campi sul mare.

Quando i pomodori cominciavano a formarsi, i contadini, con pochi ed esperti gesti delicati, posizionando adeguatamente le foglie, riuscivano a crear loro un riparo dal sole e ad accompagnarli attenti nella crescita, per garantire il giusto valore nutrizionale che i frutti acquistavano man mano che passavano dal bianco al verde, all’arancione fino al rosso caldo e pieno della maturazione.

A giugno i pomodori erano pronti per la raccolta, e le massaie accorte si precipitavano dal contadino di fiducia a prenotare il quantitativo occorrente per la salsa e a fissarne il prezzo. Nel caso non conoscessero alcun coltivatore, si inoltravano nelle stradine per una accurata selezione dei pomodori esposti sulle “sedie ortalizie” fino a che non riuscivano a trovare un prodotto degno per la loro nuova salsa.

3.continua

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