Sapevate che il finocchio marino (Crithmum maritimum L.) viene anche chiamato “erba di San Pietro”? Ebbene sì, e a tal proposito già nel Re Lear (atto IV) scritto da Shakespeare nel 1605 viene riportato: “A mezza costa sta aggrappato uno che raccogli l’erba di San Pietro – mestiere terribile”, in riferimento a coloro che rischiavano la vita per arrampicarsi sui dirupi scoscesi delle bianche scogliere di Dover. L’utilizzo popolare dell’appellativo “erba di San Pietro” pare sia dovuto al fatto che San Pietro è il santo protettore dei pescatori e che il finocchio marino, oltre a prediligere come habitat gli ambienti marini costieri, era molto apprezzato dai marinai poiché in grado di prevenire e curare lo scorbuto, grazie al suo elevato contenuto di acido ascorbico. Durante le lunghe permanenze in mare e in assenza di frigoriferi, infatti, non c’era la possibilità di fare grandi scorte di frutta e verdura per lunghi periodi. Il finocchio marino, quindi, rappresentava un’indispensabile fonte di vitamina C, tanto da poterlo considerare un integratore ante litteram… Ancora oggi la tradizione agroalimentare pugliese vede la sua preparazione come conserva sott’aceto, per essere utilizzato durante tutto l’anno come ingrediente in diverse pietanze, alla stessa stregua di quanto viene fatto con i capperi. Ma le sue potenzialità culinarie non finiscono qui se si immagina di poterlo utilizzare fresco o come spezia essiccata. Lasciando libero sfogo alla fantasia, quindi, ecco il matrimonio del finocchio marino con la semola di grano duro per ottenere una pasta verde, che oltre a colpire per l’aspetto cromatico si porta in dote una serie di aromi non invasivi ma persistenti. Se poi questa pasta viene condita con una salsa ai frutti di mare, si ottiene un delizioso piatto che farebbe venire l’acquolina in bocca persino a Poseidone!

Danilo Gambi come vedi la parola finocchio propio non resisti