Al turista che viaggia per la Puglia di certo non sfugge che dal Gargano al Salento c’è una straordinaria varietà di pani, tutti eccellenti e assai gustosi. Ogni città e ogni paese ritiene che il suo sia il migliore, talvolta a giusta ragione talaltra per un sano campanilismo.
È fuor di dubbio che nella stragrande maggioranza siano meritevoli di attenzione per via di una diffusa antica tradizione nella lavorazione, nell’uso di ottimi grani (pare che in Puglia se ne coltivino ancora circa 300 varietà), di un’acqua eccellente e anche di un po’ di gustosa fantasia.
Di certo il nostro è un bel primato e Quinto Orazio Flacco non fa mistero di svelarci quale sia il nostro pane migliore.
Lo dice nei “Ricordi di un viaggio” (Satire I,5, vv.88-90), una cronaca di un suo viaggio da Roma a Brindisi,:
“… venit vilissima rerum
hic acqua; sed panis longe pulcherrimus, ultra
callidus ut soleat humeris portare viator;…”
ovvero
“…l’acqua, la cosa più comune, qui la vendono;
ma il pane è buono veramente, tanto
che il passeggero scaltro suole farne
provvista per il viaggio.” (trad. di E. Centrangolo).
Buona parte dei nostri paesi vanta la paternità di questo pane di cui parla Orazio che però non cita espressamente il paese a cui si riferisce (perché lì aveva un vecchio conto di famiglia da regolare). Molti sbagliano però attribuendo la paternità di quel pane a questo o a quel paese. È vero che Orazio non cita la località in cui viene prodotto ma non è difficile capire quale sia.
Nei versi che precedono quelli che ho citato Orazio dice che, muovendosi da Trevico, arriveranno a quel paese del pane “veramente buono” dopo aver percorso 24 miglia (1 miglio romano è circa 1480 metri). Gioco forza il paese è Ascoli Satriano. Mi dispiace di aver deluso gli altri.
Il pane di Ascoli Satriano l’ho mangiato e anch’io, per quel che vale il mio parere, l’ho trovato “veramente buono”.
Ma Orazio li ha poi conosciuti tutti i pani pugliesi? È probabile, perché, si sa, era un gran viaggiatore e un buongustaio. Mi sembra però doveroso segnalarne anche altri che nulla hanno da invidiare a quello di Ascoli Satriano. Ne segnalo alcuni.
Non posso tacere del pane di Monte Sant’Angelo, meglio noto come “Pane di Monte”. Un vero monumento della nostra gastronomia prodotto in pezzi di grande taglia (circa 6 kg), un’opera d’arte direi, tant’è che molti panifici e negozi di alimentari del Gargano lo espongono su cavalletti da pittore. Né si può tacere del Pane di Altamura, ormai arcinoto anche fuori dai confini della nostra regione. Gli tiene testa quello di Gravina, davvero eccellente (peccato che la sua notorietà sia rimasta in ambito locale).
Nell’estremo lembo est delle Murge Baresi impagabile è il pane di Santeramo in Colle e, di lì a pochi chilometri, le Murge Tarantine riservano un altro pane di grande pregio e temibile concorrente di quello di Altamura, il Pane di Laterza. Se poi vi dovesse capitare di passare da Mottola fate scorta di quel delizioso suo pane locale che potrete conservare fragrante per molti giorni.
Per finire eccoci nel Salento. Qui la maestria dei panificatori si esprime anche con il ricorso ad una buona dose di fantasia. Lavorando la pasta del pane, assai spesso, ci aggiungono anche il companatico. Nella notissima “puccia” ci mettono le olivette nere, nella “pitilla” e nel “pizzo” ci mettono pomodoro, cipolla, zucchina, olive e anche un po’ di passata di pomodoro, olio e sale, naturalmente, e talvolta anche origano e peperoncino.




Il pane di Ascoli non esiste, come non esiste la derivazione storica della testimonianza Oraziana. Orazio ha percorso un tragitto che ha interessato Roma, come punto di partenza, e attraversando il subappennino dauno-irpino per soste in diversi luoghi della attuale bassa Daunia, quali: Ascoli Satriano (masserie), Ordona, Candela, Troia, Venosa, Melfi, Lacedonia. Queste località, ivi inclusi gli agri, sono stati potenziali luoghi per il tragitto di Orazio, il quale, probabilmente, doveva necessariamente passare da Venusia (Venosa) -città Lucana importante per Orazio- per raggiungere Brindisi. All’epoca, poi, il pane era elaborato con sfarinati grezzi di legumi, farro (Farrina che ha dato il nome alla attuale FARINA), sicuramente lievitato naturalmente e cotto mediante irraggiamento (vasi, corpi cavi in creta). Oggi il pane nella nostra Daunia, inclusa Ascoli, è fatto utilizzando semole di grano duro abbondantemente raffinate, con aggiunta di lievito di birra o al massimo con biga, dunque, niente di eccezionale, sicuramente lontano da quel prodotto TESTATO DA ORAZIO. La formulazione di oggi è molto distante, IN TERMINI DI ARTE PANIFICATORIA, rispetto alle PANIFICAZIONI A LIEVITAZIONE NATURALE E CON CEREALI E SFARINATI UTILIZZATI ALL’EPOCA. PER IL PANE SILIGENEUS (SILIGA DA FARINA SUPERIORE) OCCORRE ATTENDERE ANCORA 100 ANNI (A PARTIRE DAL 40-50 A.C. EPOCA ORAZIANA): CONTRIBUTO DEGLI ARABI E DELLE CIVILTA’ EGIZIANE PER LO SVILUPPPO DELLLA CEREALICOLTURA IN SICILIA ADOTTATA SUCCESSIVAMENTE DAI ROMANI E DAI DAUNI.
Gentile dr. Sciretta, grazie per il suo intervento. Tengo comunque a precisare che quanto ho qui raccontato non è certo farina del mio sacco ma è riportato da una fonte che mi è sembrata autorevole, di qualche anno fa, a cui ho ritenuto di dar credito (appena la recupero gliela mostrerò) seppure nella convinzione che le fonti storiche sono spesso discordanti tra loro. Le assicuro, comunque, che quel pezzo di pane di Ascoli che è riprodotto in alto l’ho comprato ad Ascoli Satriano in occasione di un mio passaggio da quella città. Ho ritenuto di parlarne e di condividere il “presunto” pensiero di Orazio perché l’ho trovato eccellente e migliore di quelli di altri nostri paesi che rivendicano, a torto o a ragione, la paternità del pane di cui parla Orazio. E’ evidente che quello di oggi non sia il pane del tempo di Orazio ma è ottimo (per quanto mi riguarda) ed ho ritenuto opportuno segnalarlo al turista che passa per quella città. Un caro saluto.
La leggenda del pane di Monte Sant’Angelo colpisce ancora….