Il pesto che viene dal sud

Toritto vs Genova

Al turista che percorre le strade della provincia barese, da nord a sud, di certo non sfugge che, a mano a mano che si sale, i mandorli si fanno più numerosi degli ulivi fin quasi a sostituirli completamente. Avviene, in particolare, nelle campagne premurgiane di Toritto.

Il paese ne va giustamente fiero, vuoi per il fatto che i mandorli, e quindi le mandorle, sono un pilastro della sua economia agricola vuoi perché questa preziosa ricchezza ne alimenta almeno altre due, la gastronomia e l’industria dolciaria. È, senza ombra di dubbio, un prodotto d’eccellenza tant’è che la “Mandorla di Toritto” è inserita nell’Elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Puglia, è Presidio Slow Food ed è protetta dal Consorzio di Tutela della Mandorla di Toritto.

Se poi il turista si sedesse alla tavola del contadino scoprirebbe in questa terra una gustosa inaspettata sorpresa, il “pesto torittese”. È simile d’aspetto al più blasonato “pesto genovese” ma decisamente più piccante.

Per i forestieri è una novità, è vero, ma le radici di questa preparazione appaiono molto lontane e affondano nella tradizione contadina di questa terra e nella  facile e diffusa reperibilità delle mandorle. Nei ricordi di molti c’è infatti il consumo di un piatto povero che i contadini preparavano nei ricoveri di campagna, durante le soste del viaggio di andata e ritorno dai mulini per scambiare il grano con la farina: alla pasta si univa un condimento di mandorle secche pestate in un mortaio, un po’ di sale e qualche erba selvatica  amalgamando il tutto con dell’olio d’oliva. Ce lo confermò, al tempo delle nostre ricerche,  anche il racconto dell’avv. Emilia D’Urso dell’azienda Agricola Pilapalucci e referente del presidio Slow Food “Mandorla di Toritto” che ci parlò e ripropose un’antica preparazione, i “cavatidde all’aminue” (tr.: cavatelli alle mandorle), in cui ai cavatelli (o anche alle orecchiette, aggiungo) si unisce un pesto fatto con erbe selvatiche della Murgia, peperoncino, aglio, formaggio, olio e, naturalmente, le mandorle torittesi.

Incuriositi e cercando qua e là, abbiamo poi accertato che, seppure ormai molto diffuso, il pesto, torittese, non può ancora contare su una ricetta codificata e valida per tutti. Sono in molti a proporlo e a consumarlo ma ciascuno lo fa a suo modo. Ecco ancora due preparazioni diverse: all’agriturismo Fariello lo personalizzano con mandorle tritate, basilico e pinoli, alla Fattoria della Mandorla al basilico si sostituisce la ruchetta selvatica e scompaiono i pinoli per far posto alle sole mandorle, c’è poi chi sostiene che il pesto torittese genuino è fatto con mandorle, finocchietto selvatico e olio. Tutti d’accordo però nell’uso dell’ottima Mandorla di Toritto che viene da mandorli autoctoni.  Portano il nome di quegli agricoltori torittesi che li hanno conservati, migliorati e diffusi sul territorio contrastando la concorrenza di varietà più produttive ma certamente meno pregevoli per qualità organolettiche e sapore; sono della varietà “De Vito, “Genco” e soprattutto “Filippo Cea”. “Quest’ultima in particolare – come si legge nel sito internet della Slow Food – è ancora diffusa nei mandorleti e presenta caratteristiche di eccellenza: un alto contenuto in olio e acidi grassi polinsaturi, una bassissima acidità e un sapore intenso ma, allo stesso tempo, equilibrato, con note di burro finali”.

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