Il rapporto con il mio frigorifero non é un rapporto sereno, per la mia esuberanza nell’acquistare ortaggi e la sua incapacità di adattarsi alle mie esigenze e comprendere che, se torno a casa con qualche busta di verdura in più, deve riuscire a convincere il portello a chiudersi senza opporre resistenza, evitando di lasciar fuori verze e finocchi, rimarcandone la mancanza di elasticità e la testa dura.
Per ristabilire un rapporto decente bisogna aspettare il fine settimana, quando ormai il grosso della spesa è andato; frutta e verdure sono in linea di arrivo, e il frigo respira soddisfatto per aver recuperato i suoi spazi rendendosi disponibile a fornire indicazioni sulle verdure da utilizzare per la cucina delle rimanenze del venerdì.
Se ci saranno sedano e carote, sarà tritello di farro in zuppa, o una saporita minestra di lenticchie, se invece avrò bietole, per coinvolgere tutta la figliolanza, sarà una gustosa torta di riso, ma se ver-ranno fuori fette di zucca, mezzi peperoni, avanzi di verza, sedano, carote, si compirà il tripudio della massima condivisione vegetale e sarà uno squisito, coloratissimo M I N E S T R O N E.
Alcune persone non hanno in gran simpatia questa splendida minestra e la considerano spesso e volentieri un insieme di verdure da assumere con sacrificio per disintossicarsi da periodi pesantemente mangerecci o da sorbirsi in regimi di dieta stretta.
Altri, pur riconoscendole indubbi meriti dal punto di vista dietetico, lo evitano per il tempo che va via a lavare e spezzettare verdure.
A me, invece, il minestrone piace tantissimo e sono felice di essere riuscita, negli anni, ad ottenere una specie di conversione familiare nei confronti di questo piatto gustoso e salutare, a parte la residua necessità di doverne passare una parte al mixer e seppellirlo sotto una montagna di formaggio grattugiato prima di servirlo a un figlio poco incline al mangiare vegetale.
Mi rilassa nettare con cura le verdure, per evitare di far male ai piccoli insetti addormentati tra le foglie, spuntarle delicatamente, asportarne con pazienza le parti non utili, respirare il profumo di terra che sale man mano che le lavo, le sbuccio, le spezzetto.
Mi incanta osservarne le forme, il verde che si ripete in intensità, gradazioni e consistenza sempre diverse, la docilità di alcuni ortaggi ad assecondare il taglio e la resistenza di altri, la fragilità di verdure troppo sensibili che patiscono l’acqua e diventano evanescenti se le lasci un po’ di più, le forme concentriche che si ripetono all’interno di piccole verze compatte o di grossi cespi di bietole.
Mi prende, perché non è mai uguale, ma cambia colori e sapore in base ai prodotti stagionali, consentendomi di provare nuovi accostamenti ed esprimere una creatività che altre minestre non permettono.
E perché é incline a condividere i suoi spazi e ad accompagnarsi di volta in volta a legumi freschi o secchi, pasta, cereali, a un bel trito di prezzemolo o basilico, aglio e formaggio inseriti a fuoco spento, prima del giro di olio finale.
In un periodo già molto lontano, in cui si faceva tesoro di tutto, per aiutarlo a raggiungere un sapore più ricco, la mia nonna materna usava aggiungere in cottura dure croste di formaggio pazientemente raschiate con un piccolo coltello che si portava sempre dietro. E ritrovarsele nel piatto, ammorbidite dalla cottura, era una fortuna che non capitava a tutti i commensali.
Mia nonna abitava in campagna, aveva una capretta e la possibilità di farselo da se il formaggio. Ed era così buono che bastavano pochi pezzi di crosta per arricchire verdure gustosissime già di loro.
Io ne inserisco ancora oggi, senza riuscire a ricostruire quel sapore.
E non é un discorso di quantità di ingrediente, quanto di una qualità di erba e di acqua, di latte, di terra e di aria a cui abbiamo rinunciato da tanto.
Io spero che qualcosa cambi, e continuo ad andare per campagne, in cerca di agricoltori rispettosi del loro lavoro, della terra, dell’acqua e dell’aria. A sperare che i loro prodotti mi garantiscano un mangiare sano.
Ad evitare cibi di plastica e cucinare un buon minestrone.
Per il benessere che apporta alla nostra salute e il suo gusto pieno di sfaccettature diverse, per le sue origini.
Per la storia che ogni singolo ingrediente ha da raccontare di terre lontane, e di uomini dalla pelle diversa chini sui campi sotto un unico sole, a coltivare cose che non avremmo immaginato.
E di altri, che nel loro inquieto andare per mondi sconosciuti ne hanno raccolto e portato a casa insieme a spezie, pietre preziose, tessuti raffinati.
Questi ultimi sono serviti davvero a poco, ma gli umili prodotti sconosciuti che li hanno accompagnati, coltivati nella terra di continenti diversi, hanno sfamato popoli e risolto problemi di nutrizione in periodi di guerre e carestie, costituendo, probabilmente, una tra le prime esperienze di condivisione tra uomini che si sarebbero incontrati solo centinaia di anni dopo.
Mi piace il suo sapore antico unito a una vocazione decisamente moderna e la sua forza, che nasce dall’unione di umili elementi che acquistano ricchezza dallo stare insieme.
Perché non é mai un unico colore che fa un buon sapore, ma il discreto coinvolgimento di tanti colori diversi, accomunati da una radice comune, quella che tiene tutti, in un modo o nell’altro, ancorati a questa terra.
