Per questo prodotto, la scheda predisposta dalla Regione Puglia ai fini dell’inserimento nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali riporta due denominazioni: ruchetta selvatica (Diplotaxis tenuifolia (L.) DC.) e ruchetta violacea (D. erucoides (L.) DC. subsp. erucoides). Si tratta, quindi, di due differenti specie eduli spontanee entrambe chiamate con i sinonimi di “rucola”, “rucula” e “ruca”.
Tuttavia, per la ruchetta selvatica vi sono termini dialettali specifici: a rochele, àrucula, ruca, rùcula cresta, rucula gialla, rucula servaggia, rucula tarantina, rùgula, rucoletta, r’cuacce, ruc’, ròcl, ruchele, ruche.
In modo analogo, anche per la ruchetta violacea ci sono termini dialettali che individuano in modo specifico tale specie: a rapodde, cemescazziette, cime de ciucce, maraiole, marasciule.
Da ricordare che con il termine “rucola” vengono indicate diverse specie appartenenti alla famiglia Brassicaceae, presenti in Puglia allo stato spontaneo. Tuttavia, quelle più importanti, perché coltivate o perché utilizzate per l’alimentazione, sono riconducibili essenzialmente a due generi: il genere Eruca, cui appartiene la specie E. vesicaria (L.) Cav. prima designata E. sativa Miller, comunemente chiamata “rucola coltivata”, e il genere Diplotaxis con le due specie più utilizzate: D. tenuifolia (L.) D.C., la “rucola selvatica”, e D. muralis (L.) DC., la “rucola dei muri”, ibrido interspecifico derivante dall’incrocio D. viminea x D. tenuifolia e meno adatta alla coltivazione per il suo habitus procombente.
La descrizione del prodotto all’interno della scheda riporta la tecnica di coltivazione e le metodiche di raccolta e condizionamento, specificando l’oramai diffusa commercializzazione in IV gamma per la D. tenuifolia.
Ai fini delle prove documentali per comprovare l’adozione di regole tradizionali ed omogenee inerenti la lavorazione e conservazione per un periodo non inferiore ai 25 anni, vi è da dire che la ruchetta selvatica è presente in Italia da lunghissimo tempo. Infatti, è stata segnalata per la prima volta da Petrollini e Cibo nel 1550; inoltre, alcuni documenti del 1790 reperiti nel monastero di S. Agnese a Trani (BAT) riportano il consumo alimentare della “ruca”, stesso nome utilizzato da Bruni nel 1857 per indicare la ruchetta selvatica.
Tali informazioni sarebbero già sufficienti ad attestare il requisito di prodotto tradizionale per la ruchetta. Tuttavia, nella scheda presentata alla Regione è riportata la scansione digitalizzata di una pagina del capitolo dedicato alla rucola coltivata, tratta dal testo “Orticoltura” (a cura di BIANCO V.V. e PIMPINI F.), edito da Patron editore (Bologna) nel 1990.
L’autore del capitolo è il prof. Vito V. Bianco, già ordinario di Orticoltura della Facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Bari, che a pagina 460 riporta informazioni inerenti le due specie di ruchetta maggiormente diffuse in Puglia.