L’amore per la terra dà buoni… carciofi!

Ancora sul carciofo di Tricase
Carlo e Irene vivono la loro masseria rallegrata da animali da cortile e da asinelli che “controllano” le erbe infestanti. Appartengono a quella categoria di giovani che hanno fatto ritorno alla terra, alla Natura, rispettando le diverse forme di vita e mantenendo i cicli della materia. Coltivano varietà locali, con tecniche suggerite dai contadini, i loro maestri. Carlo ha ereditato la masseria dal nonno Tore. Come suol dirsi, ha appeso la laurea in architettura ad un chiodo ed ora la sua missione è quella di mantenere e di far apprezzare agli altri il bene architettonico e rurale che possiede. Nella masseria è rimasto ben poco di coltivato: qualche albero da frutta, un vitigno ed una stupenda varietà di carciofo alla quale la mamma di suo nonno teneva particolarmente, per la bontà dei suoi capolini. Quest’anno le piante sono arrivate in produzione con un po’ di anticipo, probabilmente perché la temperatura media stagionale è stata piuttosto alta.

Ricetta
Carciofi ripieni. L’unica ricetta che da bambine conoscevamo per cucinare i carciofi era quella della mamma: si toglievano le brattee più esterne, le parti superiori dei gambi venivano pelate, sfibrate e tagliate in pezzi piccoli, si lavavano per 3-4 volte e si calavano in un pentolone con acqua bollente con una grossa cipolla affettata; si lasciavano bollire per circa mezz’ora ed intanto si pelavano le patate e si preparava un impasto morbido con uova, pan grattato, formaggio, prezzemolo tritato e pepe. A metà cottura si toglievano i carciofi dal brodo, si aprivano un po’ al centro (ma non tanto, visto che già di loro erano a rosa) e si collocava l’impasto, spingendolo più in basso possibile. Così ripieni, i carciofi venivano messi nuovamente nel brodo, insieme con le patate tagliate a listarelle, olio di oliva e sale. Una pietanza semplice, calda e gustosa, soprattutto perché noi bambini, in religioso silenzio, avevamo quel grosso carciofo nel piatto che dovevamo mangiare con le mani: ad una, ad una si prendevano le brattee dalla punta (quasi sempre con spina) e, messe in bocca, si passavano sotto i denti per “raschiare” quel po’ di polpa che c’era su ognuna; man mano che il carciofo si rimpiccioliva, nel piattino accanto, le brattee già spolpate si impilavano l’una sull’altra come una montagnola che era tanto più alta quanto più velocemente si riusciva (finalmente!) ad arrivare al cuore, tenero ed insaporito dal ripieno, con punte ormai tenere. Noi bambini assimilavamo le brattee dei carciofi alle carte da gioco, perciò qualcuno ha anche coniato il nome di “carciofi a carte” per indicare questa gustosa pietanza.

Il carciofo nell’arte
Se l’arte è testimone del suo tempo, sicuramente lo è stata anche per la biodiversità agraria che viene rappresentata nelle pitture, nelle sculture, nei ricami e nelle opere artistiche di ogni tempo. Numerosi sono i pittori che hanno raffigurano anche il carciofo, da Giovanni da Udine a Vincenzo Campi e Giuseppe Arcimboldo. Ma solo in una bottega di ferro battuto a Tricase si può ammirare un fascio di carciofi in ferro messi in bella vista in un vaso come un mazzo di fiori in un portafiori. L’artigiano è Rocco Ingletto, che ha ricevuto riconoscimenti e premi anche a livello nazionale, per le sue opere artistiche che hanno per soggetto proprio i prodotti della terra, dalla vite all’olivo, al frumento, alle piante nella roccia. Se con le arti figurative la riproduzione dei particolari morfologici è possibile, con le sculture in ferro diventa quasi impossibile; tuttavia, la somiglianza con la varietà locale si può apprezzare; l’artista ha realizzato quest’opera più di 30 anni fa, quando l’orticoltura di Tricase non aveva ancora aperto le sue porte a tutte le varietà di carciofo già note. Nella sua bottega, la biodiversità della nostra terra!

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