Il nome latino fava (Vicia faba L.) potrebbe derivare dall’arabo “habba” o dall’antica voce indoeuropea “bhabha” che significa “qualcosa che si gonfia”. La fava a semi grossi (var. major), che si consuma fresca, è comparsa intorno al 500 d.C.
La fava è da sempre un alimento importantissimo, soprattutto per le famiglie contadine. In passato, infatti, si diceva: «La fava è mmenzu pane» («La fava è quasi come il pane»); oppure: «Nu passa de la farmacia ci mangia fave ogneddia» («Chi mangia fave in abbondanza non ha bisogno di andare in farmacia»).
La scheda predisposta da BiodiverSO per la Regione Puglia ai fini dell’inserimento nell’elenco dei PAT riporta, per quest’ortaggio, i termini “fave fresche”, “fave novelle”, “fav di quèzz” o “fafe de cuèzzele”. Sono presenti, tuttavia, altri sinonimi e termini dialettali: “Fava da orto”, “Fava da mensa”, “Feve de quèzzele”.
La raccolta dei baccelli avviene manualmente man mano che i baccelli maturano. I semi vengono sgusciati e consumati in diversi modi. Sul litorale barese la raccolta inizia a fine marzo, ma varietà precoci possono consentire un ulteriore anticipo della raccolta. Dopo le prime due raccolte la qualità dei baccelli peggiora sempre più (diventano più curvi, più corti, aumenta la quantità di amido nei semi), soprattutto se le temperature sono elevate.
Le fave novelle si mangiano crude quando i semi sono piuttosto teneri, mentre quando il seme diventa più grande e comincia ad indurirsi vengono consumate previa cottura. A Bari, un detto popolare recita: «A Sanda Nicol, ogni fav la cape gnore» («A San Nicola ogni fava ha la testa nera»), perché tra il 7 e il 9 maggio a Bari si celebra la festa del Santo Patrono, San Nicola, ed è in questo periodo che le fave vengono raccolte e vendute per essere consumate crude come ortaggio fresco. Dopo la festa di San Nicola, invece, il “nasello” (la proliferazione a forma di tubercolo che si forma sul seme: la caruncola) diventa scuro e i semi non sono più teneri e buoni per essere consumati crudi.
Ai fini delle prove documentali per comprovare l’adozione di regole tradizionali ed omogenee inerenti la lavorazione e conservazione per un periodo non inferiore ai 25 anni, nella scheda è indicato un documentario storico tratto da RAI Storia intitolato “Linea contra linea – Sapore di Puglie” (1967) e reperibile tramite il canale YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=-IpU09RUDv4). Già durante i primi minuti del documentario le “fave fresche” vengono menzionate tra gli ortaggi coltivati e selvatici che tradizionalmente venivano utilizzati nella cucina pugliese.
Viene anche riportata l’indicazione e la scansione digitalizzata di alcune pagine del libro “Le ricette regionali italiane” (1967, prima edizione), in cui l’autrice, Anna Gosetti della Salda, riporta tra le ricette tradizionali della Puglia la “Minestra di fave e carciofi” (a pagina 856) con le “fave fresche”.
Si riporta anche la testimonianza tratta dal libro “Le checine de nononne” (Schena editore, 1982) in cui le fave novelle, con la traduzione in dialetto barese (fave de quezze), vengono descritte dall’autore Giovanni Panza: «Quando è la stagione e si trovano le fave fresche baresi che sono dolcissime, una cena molto gustosa è rappresentata da un boccone di pane che accompagna un mucchietto di fave tolte dal baccello là per là».
Nella scheda, infine, sono riportate anche alcune ricette, a cura di Luigi Sada, tratte dal libro “La cucina della terra di Bari” (Franco Muzzio Editore, Padova, 1991).