Paquale Parente ha conseguito il diploma di laurea in Scienze e Tecnologie Agrarie presso l’Università di Bari Aldo Moro il 23 luglio. Ecco una sintesi del lavoro presentato («Evoluzione della cinaricoltura in agro di Mola di Bari» – relatore il prof. Pietro Santamaria).
Fu negli anni Venti del secolo scorso che, mentre nel vicino comune di Noicattaro veniva escogitata la forma di allevamento a tendone per la vite, iniziarono ad essere effettuati i primi tentativi di coltivazione in pieno campo del carciofo sul litorale.In quasi un secolo di storia da quei primi tentativi di cinaricoltura molese, dagli anni Venti del Novecento ai giorni nostri, il paesaggio agrario molese ha visto affacciarsi innovazioni tecnologiche che ne hanno mutato l’aspetto.
Gli anni Venti. In questo periodo si assiste ai primi singulti della coltivazione del carciofo lungo il litorale del paesaggio agrario molese. Il materiale di propagazione, utilizzato per l’impianto delle carciofaie, sono gli acheni (Viani, 1929), ovvero il frutto del carciofo, impropriamente chiamati semi. Il carciofo entra nel panorama agricolo come coltura vernina, probabilmente con l’intento di inserirla nelle rotazioni come coltura da rinnovo. La semina veniva effettuata in primaverain semenzaio, dov’è più semplice ed economico gestire l’irrigazione, in seguito il trapianto veniva effettuato in autunno, in modo tale da poter soddisfare i fabbisogni colturali evapotraspirativi sfruttando la stagione piovosa. La concimazione era effettuata all’impianto utilizzando concimi organici di origine animale, era presente nel comune di Mola di Bari un produttore di farina di ossa (Ventura, 1991). Le infestanti erano controllate mediante scerbature manuali e mediante di energiche zappature.
Le carciofaie, così condotte, giungevano a produzione in primavera. I vantaggi di questa tecnica colturale – primitiva – risiedevano nell’economicità delle pratiche colturali. Gli svantaggi erano legati all’utilizzo di questo tipo di materiale di propagazione che non permetteva il mantenimento delle caratteristiche varietali, né permetteva una standardizzazione del prodotto.
Gli anni Trenta. Fu negli anni trenta che, per risolvere le problematiche legate alla propagazione per “seme”, venne introdotta la tecnica di moltiplicazione agamica per polloni, i carducci. Tale tecnica permetteva, oltre al mantenimento dei caratteri varietali, anche una auspicata selezione sanitaria del materiale di propagazione, per sintomatologie manifeste. L’impianto dei carducci si effettuava in inverno, in primavera o in autunno. Se effettuato in primavera per assicurare l’attecchimento si necessitava della disponibilità di acque irrigue. L’impianto autunnale invece sfruttava la stagione piovosa. L’impianto invernale necessitava che i carducci prodotti durante la scarducciatura autunnale fossero conservati in piantonaio. Con la produzione di carducci si diffusero dei criteri di selezione clonale basati sulla morfologia fogliare: prediligendo i caratteri di giovanilità, ovvero selezionando i carducci con foglie con margine intero. Tali criteri furono applicati alla scarducciatura eseguita sulle carciofaie impiantate negli anni precedenti. La carciofaia si disponeva in quadro con sesto d’impianto 1,00 m x 1,00 m o in quinconce con piante disposte ad un metro di distanza in tutte le direzioni (Vagliasindi, 1934). Il principale svantaggio della propagazione per carducci erail mancato raggiungimento dei massimi produttivi nel primo anno; in questi anni, infatti, si sviluppa una cinaricoltura basata su cicli di produzione quinquennali o esennali.
Gli anni Quaranta e Cinquanta. Si assiste alla prima espansione dell’areale di coltivazione del carciofo a Mola di Bari: dai 2 ha del 1929ai 461 ha del 1953 (Calabrese et al., 2003). Tale espansione è legata alle novità introdotte in tale periodo dalla Sicilia: la coltura forzata, la propagazione per ovoli ed una nuova cultivar: il “Violetto di Sicilia”. La coltura forzata del carciofo è un insieme di pratiche colturali che hanno come obbiettivo la destagionalizzazione delle produzioni sfruttando al meglio l’irrigazione. Con questa tecnica non solo si raggiunge tale obbiettivo, si ottiene, inoltre, un incremento della produzione. La forzatura consiste in un risveglio precoce della carciofaia indotto da un’irrigazione abbondante effettuata a fine luglio, inizio agosto; questa operazione emula l’azione delle prime piogge autunnali. La forzatura non si effettua solo sulle carciofaie che hanno più di un anno di età, ma anche sulle nuove carciofaie propagate per ovoli: la parte basale dei carducci che a fine primavera lignifica. Gli ovolivenivano impiantati a fine luglio, inizio agosto e necessitavano, come necessitano, dell’irrigazione per l’induzione dell’attività rizogena e per il rigonfiamento delle gemme dormienti. Mentre con la propagazione per carducci i massimi produttivi sono raggiunti al secondo anno di età della carciofaia, come già detto in precedenza, con gli ovoli sono raggiungibili già al primo anno. La cv. Violetto di Sicilia è una cultivar precoce e vigorosa; essa presenta capolini inermi, di forma cilindrica, di colore verde con sfumature viola. La combinazione della tecnica di forzatura, della propagazione per ovoli e della cv. Violetto di Sicilia ha permesso l’ottenimento delle prime produzioni già in ottobre. Queste tecniche eranostate utilizzate in Sicilia per ridurre il ciclo colturale delle carciofaie ad un anno ed inserire il carciofo nelle rotazioni come coltura da rinnovo. Nell’agro molese le carciofaie erano comunque condotte per cinque, sei anni, ciò portò alla selezione di una varietà locale adattata all’agroecosistema molese: il “Locale di Mola”.
Gli anni Sessanta. Le innovazioni di ingegneria idraulica diedero avvio ad una nuova stagione di espansione dell’areale di coltivazione. L’irrigazione fino a metà degli anni Sessanta era possibile solo alle “Penne”, dove erano presenti le norie, le cosiddette “njegne”.
Le norie sono meccanismi che prelevano l’acqua dalle falde sotterranee mediante piccoli contenitori collegati ad un nastro trasportatore e che poi la distribuiscono in campo; il tutto un tempo era mosso da un asino o da un cavallo bendato, soppiantati, in seguito, dai motori. Questi macchinari furono introdotti durante la dominazione araba fra l’VIII ed il IX secolo. Dalla metà degli anni Sessanta si iniziarono a costruire pozzi che sfruttavano motopompe o elettropompe.
Il 9 febbraio 1966 nella sala del consiglio comunale di Mola si tenne il primo incontro studio sul carciofo: il dott. Vito V. Bianco durante il suo intervento passò al vaglio le problematiche colturali e presentò il panorama varietale più adatto all’areale molese; il dott. Giovanni Padovano – il sindaco di Mola – espose il progetto dell’ente irrigazione per l’ampliamento delle superfici irrigate (Anonimo, 1966).
Il 12 febbraio 1967, sempre a Mola, si tenne per la prima volta una mostra mercato sul carciofo a Mola, un convegno sulla coltivazione del carciofo e la premiazione dei carri meglio addobbati della mostra (Anonimo, 1967). Questo evento divenne un appuntamento annuale per la cinaricoltura molese.
Gli anni Settanta e Ottanta. Nel 1974 la superficie investita a carciofo raggiunse i 1.500 ha (Tagarelli, 1974). Nel 1986 si raggiunse la massima estensione dell’areale di coltivazione del carciofo: circa2.500 hasu 5.000 ha di SAU. Nello stesso anno si tenne il nono ed ultimo incontro di studi sul carciofo a Mola.
Negli anni Settanta l’areale di coltivazione si spostò dal litorale verso l’entroterra, perché a causadell’elevato emungimento delle acque sotterranee si amplificò l’effetto dell’intrusione dell’acqua marina nelle falde. Il passaggio dall’irrigazione per scorrimento ed infiltrazione laterale all’irrigazione per aspersione aveva aumentato l’efficienza d’uso dell’acqua della coltivazione del carciofo portando alla luce nuove problematiche legate alla fauna parassita, ovvero la diffusionedelle arvicole. Intanto, la moltiplicazione agamica attraverso materiale di propagazione prodotto in carciofaie commerciali aveva peggiorato lo stato fitosanitario del “Locale di Mola”, l’unica varietà coltivata nell’agro molese.
In quegli anni, è doveroso, inoltre, ricordare l’attività di ricerca effettuata in maniera esclusiva su questo ortaggio presso il “Centro Studi Cynar” localizzato lungo la strada statale 16 ai confini fra Mola e Polignano a Mare in località Ripagnola (Magnifico e Parente, 2011).
Dagli anni Novanta ai giorni nostri. Già alla fine degli anni Ottanta la cinaricoltura molese inizia a sentire il contraccolpo delle problematiche di cui abbiamo accennato in precedenza e che approfondiremo nel prossimo paragrafo. Per tutti gli anni Novanta gli orticoltori molesi, vedendo i loro redditi diminuire per lo stato fitosanitario del carciofo, rivolsero la loro attenzione ad altre specie ortive come il pomodoro, di cui si iniziarono a coltivare i primi ibridi, e arboree, come la vite o l’actinidia.
Attualmente, anche grazie alla modesta ripresa degli ultimi anni, si stima che la coltivazione del carciofo interessi pochissime centinaia di ettari diffuse a macchia di leopardo sul territorio e, comunque, tale da non interessare per niente le aree costiere e quelle interne più vicine al mare. Mola praticamente non è più considerato un centro di coltivazione e di commercializzazione del carciofo. Persiste solo un’interessante ed attiva azienda di trasformazione per la lavorazione dei carciofini sottolio e di prodotto fresco per la IV e V Gamma (Magnifico e Parente, 2011). I cinaricoltori più restii all’abbandono della coltivazione del carciofo in questi anni, visto il degrado fitosanitario in cui vessava il “Locale di Mola”, hanno introdotto cultivar nuove per l’areale molese: “Violetto di Provenza”, “Tema 2000”e, soprattutto, gli ibridi da seme.
