La scheda predisposta da BiodiverSO per la Regione Puglia ai fini dell’inserimento nell’elenco dei PAT riporta, per quest’ortaggio, i termini “Pomodoro di Mola” e “Pomodoro della marina”. Ciò poiché questa varietà locale di pomodoro viene coltivata soprattutto nei campi più vicini al mare (“i pénne” – la “e” senza accento è muta).
I frutti, nettamente distinti da quelli tipo San Marzano, sono particolarmente ricercati per l’esclusivo sapore che sanno trasferire alle passate di salsa fatte in casa alla vecchia maniera. C’è perfino chi arriva a congelarli nel frigo di casa appena raccolti, per poterne ricavare un’inedita passata e gustarne l’aroma in tutti i periodi dell’anno. Oppure chi ne sceglie i meno maturi e, appena raccolti, li usa per farne insalate di pomodori freschi dal gusto inimitabile.
Le peculiari caratteristiche qualitative del Pomodoro di Mola (vero) sono dovute alla sua vocazione per il clima mediterraneo particolarmente soleggiato, nonché all’impiego di un’acqua d’irrigazione leggermente salmastra. Un tempo, l’acqua veniva tirata su dai pozzi poco profondi per mezzo della “noria”, un congegno diffusissimo nelle contrade molesi e costituito da un insieme di due ruote dentate mosse dalla forza di un asino o di un mulo. A quest’acqua lievemente salata si deve il leggendario gusto particolarmente saporito e che impone di “non mettere il sale” sui pomodori, perché, a detta dei contadini e degli estimatori molesi, “non ne hanno alcun bisogno!”
Ai fini delle prove documentali per comprovare l’adozione di regole tradizionali ed omogenee inerenti la lavorazione e conservazione per un periodo non inferiore ai 25 anni, nella scheda è riportata l’indicazione e la scansione digitalizzata di alcune pagine del saggio dal titolo “Il paesaggio agrario di Mola dagli inizi del Novecento ai nostri giorni”, contenuto nel libro “Mola tra Ottocento e Novecento” (AA.VV., Edizioni dal Sud, 1985). L’autore, Vitangelo Magnifico, così descrive la parte costiera del territorio molese: «Lungo la costa, a pochi metri dal mare alti muri a secco costituivano la prima barriera al mare. Quasi addossati ai muri c’erano i filari di ulivo o di fichi o di fichi d’India. I primi, però, prevalevano sugli altri. La lotta continua con il mare li aveva curvati verso sud; la chioma a nord era fatta di rami secchi, che servivano a proteggere il resto della vegetazione. Fino alla strada statale Adriatica la superficie era sgombra da alberi e destinata a colture erbacee e la rotazione cereale-pomodoro era la norma. I pomodori venivano irrigati con le acque salmastre sollevate dalle norie, cui forniva l’energia un asino o un mulo bendato che per ore girava tirando una barra che metteva in moto il marchingegno per cui i secchi (i galitte da nigiégne) dalla forma dell’apertura caratteristica colmi d’acqua venivano sollevati e rovesciati in una vasca di raccolta (u palemmidde). Da questa, mediante canalette in tufo, l’acqua veniva distribuita sul terreno preparato con cape canêle, canêle, quadre e pertêre. (…) Tra le colture erbacee, ovviamente, dominava il grano, ma si coltivavano anche l’orzo e l’avena, che venivano seminati in tutte le superfici libere in rotazione con le leguminose da granella nell’entroterra e con il pomodoro lungo le coste. Con il termine mascìaìse s’intendevano, infatti, le colture miglioratrici in rotazione con i cereali. Questo termine è poi rimasto a Mola ad indicare la sola coltura del pomodoro».
Michele Calabrese nel Libro “Mola di Bari. Colori suoni memorie di Puglia” (Editori Laterza, 1987), nel lessico etimologico molese (pagine 103-142), riporta il sinonimo maschile “Masciaise (maggese). Dal latino majus = maggio” (pag. 120).