Fino a 20-30 anni fa, chi, in inverno, voleva consumare uno dei piatti poveri della cucina contadina, la bruschetta, prendeva un pomodoro “appeso” e lo spremeva strofinandolo sul pane o sulla “frisa”.
Il pomodoro appeso o, in italiano più acculturato, il pomodoro da serbo, è stato soppiantato dal pomodoro ciliegino e dalle colture in serra. In Puglia, però, la tradizione del pomodoro “appeso” resiste, soprattutto in alcuni areali in cui la tradizione contadina è ancora forte.
“Regina” è il nome della varietà locale di pomodoro che viene coltivata tra Monopoli, Fasano ed Ostuni. Il nome di questo pomodoro è dovuto al suo calice, che crescendo assume la forma di una piccola corona. Le bacche, piccole e sferiche, vengono raccolte a frutto singolo. Le prime a maturare, più grosse, sono destinate al consumo fresco, le altre vengono conservate nelle tipiche “ramasole” e appese al soffitto.
Il pomodoro da serbo (o d’inverno) si conserva in tutto il bacino del Mediterraneo legando fra di loro alcuni grappoli di pomodorini maturi, fino a formare un grande grappolo che viene poi sospeso in locali aerati, assicurando così l’ottimale conservazione del prezioso raccolto fino al termine dell’inverno. È quanto avviene, ad esempio, per la conservazione “al piennolo” (pendolo) del ‘Piennolo del Vesuvio’.
Ma le “ramasole” di pomodoro ‘Regina’ hanno una straordinaria particolarità: non si legano i grappoli ma le singole bacche, una ad una, come potete vedere nel video realizzato con il progetto BiodiverSO.
La parola “ramasole” dovrebbe significare “ramo di sole”, a ricordare l’intensa colorazione purpurea del grappolo.