Proseguendo nelle ricerche bibliografiche sull’origine delle varietà di finocchio tradizionali pugliesi, presso la biblioteca del DISAAT dell’Università di Bari è stato ritrovato ed analizzato il testo “La coltivazione del finocchio” di Antonio Turchi (pubblicato nel 1974 dall’Edagricole di Bologna). L’autore riporta come negli anni ’70 la Puglia avesse raggiunto circa 2.000 ha di superficie coltivata con una produzione di quasi 40.000 tonnellate di grumoli (seconda regione in ambito nazionale).
Varietà botaniche di finocchio
Da un punto di vista botanico, il finocchio (Foeniculum vulgare Mill.) è una ombrellifera perenne o biennale, che diventa annuale nella coltivazione come ortaggio, o biennale nella coltivazione per la produzione di sementi. Allo stato spontaneo si trova in zone aride di media o alta collina, in esposizioni soleggiate di tutta l’area mediterranea.
Riportando quanto indicato dalla “Flora Analitica Italiana” (Edagricole), l’autore indica quattro varietà botaniche di F. vulgare (Mill.): 1) la varietà capillaceum, finocchio selvatico, spontaneo in zone anche aride; 2) la varietà sativum, finocchio dolce o finocchione, coltivato per i semi aromatici; 3) la varietà dulce, con fusto compresso o “turione” (grumolo), leggermente rigonfio, dolce e aromatico; 4) la varietà piperitum, finocchio “arancino”, tipico di zone aride. Secondo l’autore, il finocchio coltivato per il grumolo edule apparterrebbe quindi alla varietà dulce, mentre le forme da aroma alle varietà capillaceum e piperitum, delle quali si utilizzano il fusto, le infiorescenze seccate o i frutti per l’estrazione dell’olio essenziale (anetolo).
In Italia ci sono due gruppi di cultivar principali
Nel capitolo della scelta varietale, l’autore riporta come le cultivar italiane di finocchio debbano essere distinte in due grandi gruppi derivanti da due varietà del F. vulgare, a cui si assegnano “ecotipi” diffusi in alcune zone tipiche di coltivazione e da cui prendono il nome.
Il primo gruppo di ecotipi è quello del cosiddetto “Finocchio Grosso d’Italia”, da cui discenderebbero il “Gigante di Bologna”, il “Gigante di Napoli”, il “Grosso di Sicilia”, ecc.; questi ecotipi sono caratterizzati da un fusto molto corto, con foglie disposte a ventaglio leggermente chiuso, e con un grumolo globoso, bianco, tenero, serrato, privo di “filosità”, di sapore zuccherino e delicatamente aromatico. A questo gruppo dovrebbe appartenere pertanto anche la varietà “Gigante di Bari”, ma al riguardo il testo non fornisce ulteriori specifiche informazioni che consentano di risalire alla sua origine o alla sua diffusione.
Il secondo gruppo è quello del tipo “Nostrale”, che dovrebbe avere come capostipite il “Finocchio di Firenze” ed a cui apparterrebbero anche gli ecotipi “Nostrale di Chioggia”, “Nostrale di Lecce”, “Grosso Tondo di Roma”; questi ecotipi hanno un grumolo leggermente più schiacciato, a guaine fogliari allungate e meno serrate e con nervature ben evidenti, con foglie disposte a ventaglio più aperto ed a maturazione più precoce.
Tra i “nostrali” è citato quindi anche l’ecotipo “Nostrale di Lecce”, che probabilmente era diffuso in altre provincie pugliesi oltre che nell’areale salentino, come testimoniato nel testo da una foto che presenta la suddetta varietà coltivata nell’agro di Molfetta (provincia di Bari); un’ipotesi alternativa potrebbe essere quella che il nome “Nostrale di Lecce” fosse attribuito genericamente a tutti i tipi “nostrali” presenti in Puglia, o ancora che gli stessi abbiano avuto origine da un originario ecotipo leccese.
- “La coltivazione del finocchio” scritto da Antonio Turchi e pubblicato dall’Universale Edagricole nel 1974
- Un’immagine che riporta alcuni esempi di cultivar citate dall’autore, in particolare appartenenti al gruppo dei “Giganti”
- Un’immagine della tipologia di finocchio “Nostrale”, con guaine fogliari allungate e meno serrate, e foglie disposte “a ventaglio”
- Un’immagine tratta dal testo, in cui si documenta la presenza della cultivar “Nostrale di Lecce”in agro di Molfetta (BA)
A cura di Vito Buono