Era la litania motivante delle donne, dispensata in stretto dialetto molese, che faceva da sfondo all’affannato viavai di casse di pomodoro da svuotare, tinozze da riempire, bombole di gas da collegare, enormi tegami da lavare e sistemare sul fornellone, pomodori appena tirati fuori dall’acqua da mettere a cuocere, altri ancora da mettere a “scolare” nelle grandi ceste foderate di vecchie tovaglie “della salsa”, o, con parte dell’acqua di cottura, nei grandi recipienti in spessa terracotta dall’interno marezzato di verde pugliese: “i candere”.
Questi ultimi, custoditi gelosamente, venivano tramandati per generazioni di madre in figlia, e tirati fuori, con grande cautela, unicamente in occasione della salsa, insieme ai grandi tegami in alluminio utilizzati per portare al “bollo” i pomodori, i capienti cesti in legno naturale di ciliegio o di ulivo, la macchinetta per macinare i pomodori e quella per “chiudere” (tappare) le bottiglie.
Un altro oggetto che ci si portava dietro con attenzione e cura di anno in anno era la “bottiglia della salsa”, una semplice bottiglia da vino in vetro spesso, usata per spingere e veicolare con delicatezza e precisione i pomodori all’interno del grosso imbuto in latta in cui venivano versati per essere macinati.
Il resto della strumentazione, contenitori in cui lavare i pomodori, piatti, bottiglie, mestoli e imbuti di ogni misura, tegami per conservare parte dell’acqua di cottura utile in caso di passata troppo ristretta poteva, invece, essere sostituita senza problemi.
2.continua