San Vito e la tradizione contadina

Il 15 giugno, giorno di San Vito, è un’altra tappa molto rilevante nel calendario contadino. Siamo vicini al solstizio d’estate, che verrà celebrato con San Giovanni tra circa una settimana, ambedue stazioni calendariali importanti e vissute con molta intensità.

Nella tradizione contadina della provincia di Lecce, San Vito è legato in maniera particolare al ciclo del fico e dell’olivo.

Si dice infatti: “de Santu Vitu, ogne fica ole mbrufico”, “de Santu Vitu ogne fica ole maritu”. In questo giorno si preparavano le corone di “brofichi” (o “profichi”) ovvero i siconi dei caprifichi, che venivano appesi ai rami del fico comune. L’impollinazione del fico avviene grazie ad un insetto pronubo, la Blastophaga psenes, presente nel “maschio” che penetra nell’ostiolo alla base dei forniti (che si stanno in questo momento formando sui rami del fico femmina) determinandone l’impollinazione e dunque la maturazione nella forma che tutti conosciamo. L’uomo dunque aiutava questo processo naturale ponendo l’insetto impollinatore nelle immediate vicinanze dell’esemplare di fico che intendeva portare a maturazione. Questo processo avveniva appunto nel giorno di San Vito.

Altri detti sono: “de San Vitu, ota l’ulivitu: se una o doi ne pare, è ‘ntrata generale” oppure “de San Vitu, ota l’ulivitu: se una pare, centu ave”, che si possono tradurre all’incirca così: “di San Vito fai un giro nell’uliveto: se si mostrano una o due olive, è segno di grande entrata d’olio”.

Il detto può proseguire così: “Santu Vitu, và viti l’ulivitu; Santu Dunatu o riccu o spujatu”. San Vito dunque offre un attendibile pronostico per la produzione delle olive, ma è a San Donato (il 7 agosto) che si può dire l’ultima parola e si può affermare se le olive siano passate indenni dalle insidie delle intemperie e delle avversità. Dunque è ad agosto che l’olivicoltore può dirsi “o ricco o spogliato”, infatti “de Santu Dunatu, l’argulu è paratu” cioè l’albero ha messo i suoi frutti.

San Vito è un santo prettamente rurale, legato alla protezione dei campi contro la calura estiva e alla protezione contro l’epilessia e varie forme di disturbi mentali, dunque alle insidie del caldo torrido e ai danni che questo può apportare sia ai campi che alla salute umana. La raffigurazione classica lo vede accompagnato da due cani, che porta al guinzaglio. L’agiografia del santo giustifica quest’associazione con un episodio secondo il quale San Vito avrebbe ridato la vita ad un bambino sbranato dai cani. Tuttavia la simbologia del cane nel mondo antico e classico è molto più complessa ed articolata ed è legata alle costellazioni del Cane maggiore e del Cane minore.

Il cane rappresentava simbolicamente la stella Sirio (nel Cane maggiore), la cui levata eliaca coincideva con l’arrivo della stagione torrida e del solleone, non a caso denominata “canicola”. Nel mondo egizio la levata di questa stella era attesa con impazienza, perché segnava l’inizio della stagione in cui il fiume Nilo sarebbe straripato (grazie allo scioglimento dei ghiacciai alla sua sorgente sui monti dell’Etiopia) depositando il limo e determinando la fertilità delle terre coltivate. Sirio era direttamente associata al dio Sothis. Il nome greco di Sirio vuol dire “ardente”. Esiodo ne “Le opere e i giorni” scrive: «Quando il cardo fiorisce e l’echeggiante cicala appollaiata su un albero riversa il suo canto melodioso muovendo fittamente le ali, nella stagione della faticosa estate, allora le capre sono più grasse, il vino più buono, le donne più dissolute, gli uomini più fiacchi, perché Sirio inaridisce testa e ginocchia, e la pelle è secca per la calura: ma allora vi sia l’ombra di una roccia e vino di palma (…)».

San Vito rappresenta dunque il “guardiano dell’estate”, al quale il popolo chiedeva intercessione contro le insidie che potevano compromettere l’annata agricola, così come la sopravvivenza ed il benessere della comunità.

 

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