“Cucina del Gargano” di Giovanni Nino Arbusti (Franco Muzzio Editore – 2003)
“La cucina garganica è il frutto di un’esperienza nata dall’uso di ingredienti offerti da una terra popolata, inizialmente, da pastori solitari, taciturni ma saggi“. Si legge così nel risvolto di copertina di questo classico delle tradizioni gastronomiche del Gargano, la cosiddetta Montagna Sacra. Ad essa, aggiungo, ha dato man forte un’agricoltura povera ma ricca di biodiversità che ha saputo attingere da orti talvolta eroici per via dell’asperità del territorio. Queste due tradizioni poi, quella pastorale e quella agricola, hanno dovuto e voluto confrontarsi ed allearsi con un’altra, quella del mare, a cui questa terra guarda sempre assai da vicino perché il mare ne lambisce quasi sempre i pochi fazzoletti di terre più facilmente coltivabili.
Il naturale isolamento del Gargano, tagliato fuori dalle grandi vie di comunicazione e dai traffici fra le genti, è certamente all’origine dello sviluppo di una gastronomia che si discosta un po’ da quella delle altre aree geografiche delle Puglia, assumendo una propria identità che spesso non ha riscontri o similitudini con le altre conterranee.
Frontespizio e pagine interne del libro di Arbusti; sullo sfondo, tipico paesaggio garganico.
Di questa singolare identità parla diffusamente Giovanni Nino Arbusti in un classico della nostra cucina, la “Cucina del Gargano”, rieditato da Franco Muzzio Editore (2003) nella collana “Cucine Regionali”. La descrive come una “cucina schietta, dunque, e pastorale quasi rude all’inizio come tutte le altre cucine primitive, ma subito proclive alla preziosità degli aromi, della menta e dell’origano, del finocchietto selvatico, della rucola, del rosmarino, così copiosi e di fragranza unica all’interno e lungo la costa…”. Ne celebra anche quello straordinario connubio tra verdure spontanee e coltivate e ortaggi locali con carne o pesce della sua terra a sottolineare sempre quel sodalizio immanente che c’è tra le terre protese nel mare e il mare stesso nonché tra pastori, agricoltori e pescatori che il più delle volte si scambiano i ruoli.
È così che verdure, ortaggi, legumi e pane li ritroviamo assieme con le carni e il pesce con ruoli di comprimari o coprotagonisti: accade con le anguille di Lesina e gli ortaggi ‘multicolor’ delle piane fertili; accade con i piccoli pesci azzurri (alici o “sarachelle”) che a Vieste uniscono alle cime di rape; accade con le carni ovine delle capre garganiche che si lasciano cuocere assieme ai cardi con cui condividono la vita; accade con le seppie col ripieno di piselli e il sugo del pomodoro.
Da sinistra: Minestra di anguilla – Carne in brodo di cardi – Seppie ripiene di piselli, al pomodoro
Mitiche le fave di Carpino che oltre alle accoppiate classiche con la cicoria, coltivata o selvatica, trovano qui sodalizi meno consueti con la zucca oppure, quand’è fresca e lessata, con il battuto d’uovo in una più energica frittata.
Da sinistra: Fave novelle a frittata – Zuppa di fave e zucca
Immancabili i “pancotti”. Una varietà pressoché infinita di preparazioni in cui l’ineguagliabile pane garganico raffermo s’ammorbidisce nell’umore delle cicorie o della patata, oppure delle cime di rape o della rucola e pure con la moltitudine delle erbe spontanee come la borraggine e la senape, e ne assorbe il sapore.
Da sinistra: Pancotto con bietole e patate – Pancotto con patate e alloro
La buona stagione è poi quella che consente di fare scorte alimentari per il lungo inverno in cui il mare è intrattabile, i campi dormono battuti dai venti freddi e dal gelo e la montagna diventa avara di tutto. Tutto, allora, si raccoglie e si conserva prima del grande lungo sonno. Carne e pesce essiccati o marinati, ortaggi sott’olio o sott’aceto. A questi ultimi danno man forte quelle erbe spontanee di cui sono da sempre generosi la Montagna del Sole e i suoi lidi battuti dal mare: l’asparago selvatico, il finocchio marino e la salicornia.
Da sinistra: Finocchio marino – Salicornia sott’olio – Asparagi selvatici
Perfino la frutta la si fa vivere a lungo come accade per i “poponi” bianchi appesi alle travi o le “marrocche” di pere o di sorbe che faranno bella mostra di sé per tutto l’inverno, per non dire delle conserve di more, di visciole, di cotogne, di fichi e di arance, e ancora dei frutti infornati che sfideranno il tempo: mandorle, noci, carrube, nocciole e castagne.
A cura di Vito Buono (sr.) e AGRIS soc. coop.